Pur ancora nell’incertezza del suo destino governativo alla sovrintendenza, che ancora non trova risposta ma solo voci di corridoio, all’avvicendarsi di Fortunato Ortombina il quale ha preso incarico al Teatro La Scala di Milano, e non essendosi ancora quietate le agitate acque delle rivendicazioni sindacali di questi mesi da parte degli orchestrali e maestranze del teatro – che in più di una Prima operistica veneziana hanno messo in seria difficoltà la conduzione ad interim del veterano ed esperto direttore Andrea Erri – la serenissima Fenice propone secondo la tradizione, il suo Concerto di Capodanno che brinda al nuovo anno alzando – oltre ai bicchieri – la bacchetta del Maestro Daniel Harding con le voci di Mariangela Sicilia e Francesco Demuro. Si rinnova anche la collaborazione con la Rai che manda in onda il concerto in diretta tv per la sola seconda parte alle 12:20 su Rai 1, in replica su Rai 5 alle ore 17:45 e su Rai Radio 3 alle ore 20.30.
Il programma del Concerto di Capodanno è sempre composto da due parti: la prima sinfonica, quest’anno dedicata a Ludwig van Beethoven con la Sinfonia n. 5 in do minore op. 67 e nella seconda parte arie, intermezzi, duetti e sinfonie che il pubblico attende e tra questi qualche inedito tra le “immancabili”.
Nel suo insieme il Concerto è sostenuto, per qualità ed esecuzione, dall’Orchestra e Coro del Teatro La Fenice; quest’ultimo una certezza e preparato da Alfonso Caiani, dà prova di elegante preparazione proprio in uno degli “immancabili” che è il Va’, pensiero, su l’ali dorate da Nabucco di Giuseppe Verdi ed armonioso è il Din, don, suona vespero dai Pagliacci di Ruggero Leoncavallo.
Forse l’attesa di un Daniel Harding – che ricordiamo nella sua ultima presenza di primo giorno dell’anno al Serenissimo Teatro nel concerto del 2023 – è rimasta disattesa perché delude un po’ la direzione che si alterna tra l’ingessato e l’accademico.
Non c’è guizzo interpretativo, né nelle parti di ‘Allegro|Allegro-Presto’ della Sinfonia del gigante compositore tedesco, né nell’intermezzo de I quattro rusteghi di Wolf-Ferrari dove i pizzicati – se pur pregevoli – risultano soffocati, e così la sinfonia rossiniana Gazza ladra che appare di linearità scolastica.
Il tenore Francesco Demuro ha attacco enfatico e secco nella romanza Recondita armonia da Tosca di Giacomo Puccini, i centrali sono leggermente sfibrati e gli acuti – come in Nessun dorma da Turandot – non ci si aspetta così sotto sforzo che si giustificherebbe se avesse retto l’opera intera e non solo due arie di un concerto.
Mariangela Sicilia, soprano leggero e di agilità, conferma la sua impostazione timbrica sicura con belle colorature.
I pianissimi su La Bohème di Puccini sono delicati e la sua vocalità esprime Charles Gounod con eleganza e maturità d’appoggio sul “valse-ariette” Je veux vivre dans le rêve dal Romeo et Juliette. Il soprano affronta con bella estensione in salita forte un altro “immancabile” tratto da Turandot, il Padre augusto. Del duetto di rito conclusivo – Libiam ne’ lieti calici da La Traviata di Giuseppe Verdi, non mi esprimo perché rimane radicata nel pubblico quella irrispettosa ed incontenibile pratica di battere le mani a guisa di marcetta di banda paesana mentre cantanti e professori d’orchestra stanno ancora profondendo musica attraverso i loro talenti e gli anni di studio. Questo anche nel bis.