Opera Mundus

Teatro Verdi di Trieste: Die Entführung Aus Dem Serail (Il ratto dal serraglio)

Teatro Verdi di Trieste Die Entführung Aus Dem Serail (Il ratto dal serraglio) - recensione Opera Mundus - Ph F. Parenzan
Teatro Verdi di Trieste Die Entführung Aus Dem Serail (Il ratto dal serraglio) - recensione Opera Mundus - Ph F. Parenzan

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Caro Mozart, troppe note!”. A sipario chiuso, questo fu il commento dell’Imperatore d’Austria Giuseppe II per Die Entführung Aus Dem Serail (Il Ratto dal Serraglio) andato in scena per la prima volta al Burgtheater di Vienna il 16 luglio 1782. Il successore dell’ingombrante madre-monarca Maria Teresa, defunta da un paio d’anni, aveva bene in mente come far nascere un nuovo teatro nazionale in lingua tedesca. Un teatro in musica nel solco tradizionale del singspiel popolare, alieno dalla rigida forma dei recitativi cantati “all’italiana” con seguente aria virtuosistica, ma composto drammaturgicamente dall’alternanza di parti recitate e parti cantate. In più, per tutto il Settecento, la moda per le esotiche turcherie s’era diffuso in tutte le corti europee e di conseguenza anche nella musica, con suadenti evocazioni di suoni d’un Oriente pittoresco. L’accostamento dell’elemento orientale ad una teatralità dai risvolti comici aveva anche la funzione d’esorcizzare per il pubblico austriaco l’antico spavento della minaccia ottomana alle porte di Vienna, che ancora premeva negli estremi confini balcanici dell’Impero. Al gusto musicale della città s’erano aggiunte frequenti esecuzioni cittadine di bande che riprendevano i militareschi ritmi percussivi dei giannizzeri ottomani e il grande successo dell’opéra-comique Le rencontre imprévue ou Les pèlerins de la Mecque, di Christoph W. Gluck d’ambientazione turca e messa in scena, otto anni prima del Ratto dal Serraglio, nello stesso Burgtheater. La curiosità di Mozart per il nuovo gusto orientalista s’era già rivelata nel 1778 quando compose a Parigi il celeberrimo rondò “alla turca” della sonata per pianoforte n. 11. Il grande compositore, in stretta collaborazione col librettista Johann Gottlieb Stephanie jr., imbastisce quindi uno racconto straordinario dove l’apparato narrativo di situazioni, personaggi, luoghi delle “turcherie” settecentesche è ben presente ma al contempo musicalmente trasceso: il naufragio, l’avvenente donna europea catturata, il suo servitore devoto, la schiavitù nell’harem, il crudele capo delle guardie e la sua comica ubriacatura, l’irascibile sultano alla fine magnanimo e generoso, la cameriera coquette, l’amoroso che cerca disperatamente la sua bella e alla fine la ritrova. Per contro, le modalità compositive del singspiel, l’ambientazione turchesca e tutte le novità della musica orientale introdotte in partitura non fanno dimenticare a Mozart la sua sensibilità nei confronti dell’opera seria italiana, ben conosciuta durante il viaggio in Italia del 1773. Ecco dunque il Belpaese nella compresenza d’una coppia seria e di un’altra comica, composte da due amanti protagonisti e da due servitori dagli accenti popolareschi. Poi, l’uso dell’italianissima “serenata notturna” intonata da Pedrillo, il sognante languore del canto di Belmonte e le difficili arie da primadonna assoluta di Kostanze, soprattutto la travolgente Martern aller Arten, un vero e proprio concerto per soprano di coloratura, strumenti solisti e orchestra, aria resa celebre da Maria Callas nella versione ritmica italiana Tutte le torture: puro belcanto italiano con grande sfarzo di virtuosismo vocale.

Per il nuovo allestimento del Ratto del Serraglio, dopo il Flauto magico del dicembre 2023, il Teatro Verdi di Trieste ripropone il binomio Beatrice Venezi alla direzione orchestrale e Ivan Stefanutti alla regia, scene e costumi. Le scene del primo atto si limitano ad una monumentale porta blu racchiusa da due torrette da Topkapi di Las Vegas. Torrette che vengono riproposte distanziate e solitarie nel terzo atto senz’alcuna porta in mezzo. Invece, nel secondo atto, soltanto una cascata di veli dall’azzurro al blu cobalto, come tremolante drapperia tra una ciclopica lampàra ottomana e un’ipertrofica nappa per tenda da passamaneria Galtrucco. All’interno di questi addobbi i sei personaggi vengono fatti muovere qui e là dal regista/scenografo/costumista Ivan Stefanutti in presagibili accentuazioni interpretative tra Commedia dell’arte per i ruoli di carattere come Osmin, Pedrillo, Blonde e Drame lyrique per Belmonte, Konstanze e Selim. I loro bei costumi sembrano rievocare quei dipinti orientalisti di tardo Ottocento che, come in un Eden sognato, favoleggiavano gli harem d’Istambul e non ci si può che complimentare con i laboratori artigianali del teatro triestino per la lenticolare e scintillante decorazione dei tessuti e il lusso della loro resa nelle luci del palcoscenico.

Singspiel alquanto complesso, Il Ratto del Serraglio che in questa edizione viene eseguito in lingua originale nella parte cantata e in lingua italiana nella parte recitata. L’ascolto attento di varie incisioni discografiche oppure dal vivo, come per Zubin Mehta a Firenze oppure per la ripresa strehleriana dell’anno scorso alla Scala di Thomas Guggeis, ci suggeriscono che l’impianto esecutivo dell’opera necessita, più che in altre partiture, d’una assoluta chiarezza del progetto musicale dal punto di vista interpretativo, dalla prima all’ultima nota. Sembra banale ribadirlo ma, per dare vera continuità di respiro alla musica e al canto, è indispensabile il carisma sopravanzante di questo progetto esecutivo (ed è proprio qui si concentra la firma interpretativa di chi conduce) che il direttore deve saper nitidamente indicare ad ogni singolo orchestrale. In quest’opera, la direttrice d’orchestra Beatrice Venezi sembra che stia procedendo per conto suo, come se gli orchestrali durante le prove avessero cercato di risolvere l’esecuzione perfezionando un po’ alla volta il risultato: si sa che nel golfo mistico è prassi comune il meccanismo di cooperazione e solidarietà per il quale, anche solo con degli sguardi, si riesce a portare a compimento un’opera o un concerto nei momenti di latitanza di chi dirige. Ad esempio, nell’ouverture in do maggiore l’evocazione “alla turca” s’esprime attraverso il ricordo delle bande che imitavano i ritmi militareschi dei giannizzeri e che, come si diceva, si potevano ascoltare nelle piazze di Vienna. E Mozart compone un procedere musicale tenacemente ripetitivo, anche con l’uso non consueto di semplici e doppie acciaccature. Non soltanto archi e legni, quindi, ma ottoni e percussioni come la grancassa, il triangolo, i piatti che danno un vigoroso timbro marziale all’esecuzione. Segue poi l’andante che acquista un sapore tutto orientale, sinuoso come un arabesco in musica. Ma tutto questo esotico fattore timbrico emerge appena nell’esecuzione della Venezi che, in somma delle somme, riesce a portare a termine una conduzione il più delle volte ascoltabile, soprattutto nell’accompagnamento diligentemente vigile del canto e nell’assecondare il ritmo senza bacchetta, con grande agitazione delle braccia in alto e in basso.

Il coro, istruito da Paolo Longo, se la cava bene nel finale con il Bassa Selim lebe lange e soprattutto nel primo atto, nel tripudio più “turco” di tutta l’opera Singt dem grossen Bassa Lieder. E, riferendosi a questo coro, Mozart informava il librettista Stephanie jr. in una lettera del 26 settembre 1781: “È tutto ciò che si può desiderare di meglio, breve e allegro e scritto proprio per i viennesi!”»

Belmonte è il russo Ruzil Gatin che in questi anni s’è dimostrato un valido tenore rossiniano e ha portato sul palcoscenico due importanti ruoli mozartiani come Ferrando e Don Ottavio. Il suo timbro ha sfumature morbide e calde e, sia nell’aria di apertura Hier soll ich dich denn sehen che in quella del secondo atto Wenn der Freude Tränen fließen, mostra una vocalità omogenea con facilità nel salire nella zona sovracuta. Ma è in una delle più belle arie di Mozart, forse quella che più amava fra quelle composte, O wie ängstlich, wie feurig klopft mein liebevolles Herz, che il tenore con la cullante complicità ritmica dell’orchestra riesce con dolcezza ad evocare l’abbandono amoroso come battito del cuore. Anche se poi, ahimè per nostalgica coazione a ripetere, quando si rientra a casa subito la si riascolta cantata da Fritz Wunderlich!

L’impervio ruolo di Konstanze è stato affidato al soprano Anna Aglatova, nuova sui palcoscenici italiani visto che quasi tutta la sua carriera si è svolta in Russia, comunque ai massimi livelli del Bol’šoj di Mosca. Dato che risulta nel suo repertorio, per fare alcuni esempi, il più difficile virtuosismo vocale dell’Alcina di Händel o la fiorita ed espressiva coloratura di Adina dell’Elisir d’Amore ci si potrebbe aspettare una voce educata al belcanto. Timbro apprezzabile, ma come Konstanze ha però avuto problemi nelle agilità e, anche nella consapevolezza che Marten aller Arten è un’aria che poche cantanti possono avvicinare, una certa mancanza di duttilità finisce per spianare i molti passaggi che impongono grande padronanza nelle fioriture vocali e una gamma estesa di suono. Meglio di sicuro nell’aria in presenza di Blonde Traurigkeit ward mir zum Lose” che l’Aglatova affronta con la modalità del lied, drammaticamente accentuato dalla cupa tonalità di Sol minore.

Molto meglio la Blonde del soprano armeno Maria Sardaryan, forse la vera rivelazione della serata. Perfetto physique du rôle e presenza scenica dominante, a suo agio nella parte avendola cantata su più palcoscenici, regala al personaggio quella determinazione di carattere e quella sapida scaltrezza che ha già il sapore di Susanna, Zerlina, Despina. Lo dimostra nel duetto all’inizio del secondo atto con Osmin che la vorrebbe sottomessa come schiava ma, seppur prigioniera nel serraglio, controbatte da par suo rivendicando con un impeto ombreggiato d’ironia il senso di libertà del suo essere una donna inglese: una splendida protofemminista, figura che ancora oggi ha molto da insegnare ai vari Osmin in circolazione. Poi, nell’andante grazioso dell’arietta Durch Zärtlichkeit und Schmeicheln mostra un’affabile morbidezza nel porgere le frasi musicali con suadenti mezzevoci e facilità nello svettare in acuto. E, nell’allegra agitazione dell’aria Welche Wonne, welche Lust, il soprano riesce a comunicare l’inarrivabile magistero musicale di Mozart nell’esprimere l’esplosione della gioia.

Il suo compagno Pedrillo è il tenore italiano Marcello Nardis, che vanta una carriera che lo ha visto raffinato esecutore del repertorio cameristico, anche come pianista. Affronta quindi questo ruolo con l’esperienza di chi è abituato a cantare lieder, e si sente. Pur con una voce spesso affaticata nella zona acuta, bene interpreta l’aria Frisch zum Kampfe, frisch zum Streit e la serenata In Mohrenland gefangen was accompagnata dal mandolino, con un andamento armonico che sembra ricreare un ben preciso carattere di nenia mediterranea, anche qui evocazione d’un Oriente più sognato che reale.

Il crudele ma anche comico capo delle guardie Osmin, classica figura di buffo del singspiel i cui temi musicali derivano dalla canzone popolare, è interpretato dal basso Andrea Silvestrelli. Necessario un basso profondo per questa parte perché alla prima rappresentazione Mozart aveva a disposizione Ludwig Fischer che, come scrisse in una lettera, “produce le note più basse con pienezza, leggerezza e comodità” con conseguenti note molto basse nella parte, fino a quella più temibile, il Re basso da tenere a lungo che si trova nell’aria Ha, wie will ich triumphieren! L’Osmin di Silvestrelli s’impone fin dall’inizio in Wer ein Liebchen hat gefunden, dal testo misogino in tre strofe e con cadenza che ripete un semplice e canzonatorio trallalera, cantato con l’incantato abbandono d’una mollezza tutta orientale. Il risultato è un’imponenza scenica rilevante accompagnata da grande potenza vocale ma, nell’ardua tessitura delle note più gravi, la voce tende a opacizzarsi e a perdere bellezza di suono. Irresistibile, comunque, nel duetto con Pedrillo che lo inganna offrendogli del vino nel quale ha disciolto il sonnifero: Vivat Bacchus, Bacchus lebe è la tipica chanson à boire presente anche in altre opere “alla turca” quando viene raccontata l’ubriacatura del musulmano che trasgredisce l’interdetto religioso di non bere ciò che è alcolico.

Selim, parte solo recitata, è stata affidata all’attore Giulio Cancelli che, nello sfarzo protagonistico dei costumi di Ivan Stefanutti, cerca di dar visibilità all’impegnativo ruolo del pascià dalla personalità dispotica e iraconda ma alla fine giusto e clemente, campione di quell’assolutismo monarchico temprato dai nuovi ideali illuministi che serpeggiavano alla corte dell’imperatore Giuseppe II d’Austria, come in quasi tutte le corti europee.

Il bel finale, nella modalità del vaudeville, raccoglie tutti i personaggi nel tripudio della generosità di Selim, e il canto evidenzia parole che sono monito di fratellanza anche per i nostri giorni:

Nulla è così odioso come la vendetta.

Essere generoso, misericordioso,

gentile e altruista da perdonare

è il marchio di un animo nobile!

Chi dimenticasse questo

dovrebbe essere guardato con disprezzo.

Teatro Verdi di Trieste – 17 gennaio 2025 – Die Entführung Aus Dem Serail (Il ratto dal serraglio)

Wolfgang Amadeus Mozart

Singspiel in tre atti di Johann Gottlieb Stephanie jr. (da Belmonte und Konstanze, oder Die Entführung aus dem Serail di Christoph Friedrich Bretzner).

Ed. musicali: Alkor/Baerenreiter, Kassel. Rappr. per l’Italia: Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali, Milano

CAST

Konstanze: ANNA AGLATOVA

Belmonte: RUZIL GATIN

Osmin: ANDREA SILVESTRELLI

Selim: GIULIO CANCELLI

Blonde: MARIA SARDARYAN

Pedrillo: MARCELLO NARDIS

 

Maestro Concertatore e Direttore: BEATRICE VENEZI

Regia, scene e costumi: IVAN STEFANUTTI

Light Designer: EMANUELE AGLIATI

Maestro del Coro: PAOLO LONGO

Orchestra, Coro e Tecnici della

Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste

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Emilio Pappini

Vive e lavora a Milano e Trieste e si occupa di Storia dell’arte. È laureato in Lettere Moderne presso l’Università di Genova e specializzato in Storia del Teatro all’Università Cattolica di Milano con una tesi pubblicata sul rapporto tra opera lirica e televisione: L’opera lirica nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (Vita e Pensiero ed.) Ha pubblicato Nascita e metamorfosi del melodramma nella TV italiana (in Le sigle televisive, Eri ed. RAI-TV). Grande appassionato di opera lirica, scaligero da sempre, ha collaborato con la rivista L’Opera e ha presentato a Radio Popolare profili di grandi cantanti del Novecento.

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