Teatro Real di Madrid chiude una atipica stagione 2023/24, piena di titoli contemporanei e senza traccia di figure essenziali come Rossini o Richard Strauss, con diciannove rappresentazioni della produzione di Madama Butterfly ideata da Damiano Michieletto per il Teatro Regio Torino nel 2010. Per l’occasione sono stati coinvolti ben quattro cast diversi, essendo questo uno dei titoli operistici più amati dal pubblico.
Fischiato alla prima, Michieletto spoglia l’opera dei tipici kimono, del tantō con cui Butterfly si suicida, e dell’ambientazione nipponica stereotipata, un mondo che secondo lo stesso Michieletto, nonostante sembri tutto il contrario, manca di spiritualità, evidenziando crudelmente il tema centrale della trama ed evitando di edulcorare la violenza della tragedia. Per questo motivo, la scena si colloca, invece che nella Nagasaki del 1890, nella periferia di una città asiatica attuale non identificata (come dimostrano i cartelli luminosi in giapponese, cinese e thailandese), e l’acquisto di adolescenti è sostituito dalla pratica del turismo sessuale e della prostituzione. Butterfly non è qui una bambina di quindici anni, ma una meretrice esperta; tuttavia, la sua ingenuità è rafforzata da un abbigliamento infantile (una maglietta di Hello Kitty durante il secondo e il terzo atto) o dai peluche sparsi sul pavimento della sua “casa”, un cubo trasparente in mezzo alla scenografia sordida di Paolo Fantin, allegoria di un lupanare.
Sebbene non ci troviamo di fronte al geniale Michieletto de L’elisir d’amore, Sigismondo o Il viaggio a Reims, l’idea generale –un Pinkerton a cui non importa se la sua schiava sessuale, usa e getta, ha dodici o quindici anni– funziona, oltre ad essere, come nelle sue produzioni dei titoli precedentemente menzionati, un aggiornamento dignitoso e rispettoso del libretto. In questo stesso teatro si sono visti allestimenti tradizionali molto più stravaganti o drammaturgicamente discutibili applauditi all’unanimità dal pubblico. Se l’aggiornamento è costruttivo, ben venga. Scioccante è stata la drammatizzazione dell’intermezzo del terzo atto, dove il resto dei bambini del quartiere fa bullismo al figlio di Butterfly per il suo aspetto differente, così come il finale, in cui Cio-Cio-San si suicida in presenza del bambino, strappato da Pinkerton dalle braccia della madre. Tuttavia, è necessario anche segnalare alcune debolezze, come la direzione attoriale a tratti inesistente con i cantanti (più accentuata con il personaggio di Suzuki), o la banalizzazione della scena dello zio Bonzo e della comunità di Nagasaki che ripudiano Butterfly.
Nicola Luisotti, che solitamente si trova nel suo elemento in questo repertorio, sebbene corretto, ha evidenziato una mancanza di tensione palpabile, con momenti piuttosto routinari, tempi lenti e pochi sfumature (si veda il duetto dei fiori), insieme a scelte sorprendenti (si veda il finale precipitato al doppio della velocità abituale) e istanti di grande bellezza in cui l’orchestra del teatro ha saputo far brillare la geniale orchestrazione pucciniana.
Encomiabile nel suo breve compito, come al solito, il Coro Intermezzo, che, curiosamente, non è comparso nei saluti finali. Sebbene impressionante nella scena del matrimonio, il suo lavoro nel coro a bocca chiusa è stato seriamente penalizzato dalla problematica decisione di posizionare il coro dietro il palco, risultando quasi inaudibile.
È evidente che Cio-Cio-San non è un ruolo vocalmente appropriato per Saioa Hernández, chi ultimamente ha affrontato ruoli assolutamente disparati come Amelia di Un ballo in maschera, Turandot o Medea. La potenza vocale, i gravi generosi e la proiezione imponente della Hernández hanno poco a che fare con la bambina servile, candida e innocente che Giacosa, Illica e Puccini disegnano nel libretto e nella partitura, rispettivamente. Inoltre, la sua scena d’uscita è stata purtroppo penalizzata dal fatto che Michieletto l’ha collocata su una scala, nella parte superiore del palco. Tuttavia, nonostante un fraseggio un po’ priva di fantasia, è riuscita a portare a termine la sua parte con la professionalità che la caratterizza. Hernández, che debuttava il ruolo di Madama Butterfly (oltre al fatto che finalmente veniva premiata nel teatro con un ruolo protagonista nel primo cast), si è mostrata pienamente in forma dopo il malessere temporaneo che l’ha portata a cancellare la sua partecipazione nella funzione precedente, con un finale drammaticamente impeccabile. Così ha attestato la sonora accoglienza degli spettatori, insieme a quella di Lusiotti, la più entusiasta del cast.
Il tenore americano Matthew Polenzani, assiduo nelle stagioni del MET di New York, e la cui caratterizzazione (età avanzata, pettinatura e cravatta rossa) ricordava inevitabilmente l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, ha offerto un’adeguata interpretazione dell’ingrato Pinkerton, uno dei personaggi più odiati nella storia dell’opera. Nonostante un timbro un po’ caprino e stridente, si è mostrato sempre brillante negli acuti, oltre che coinvolto nella scena.
Altrettanto incontestabile è stata la performance di Lucas Meachem come il console Sharpless, sebbene con un carisma scenico abbastanza inferiore a quello vocale, non sfruttando l’opportunità che Michieletto conferisce al suo ruolo, con un maggiore coinvolgimento nella trama, e non come mero spettatore della concupiscenza e immoralità di Pinkerton.
Silvia Beltrami è stata un buon complemento alla Butterfly di Saioa Hernández, con una voce ben timbrata e gravi puliti, anche se caratterizzata da un vibrato un po’ fastidioso.
È stato un lusso avere un comprimario come Mikeldi Atxalandabaso nel ruolo di Goro, un personaggio spregevole, qui una sorta di pappone, ben disegnato dalla regia. Continuiamo a desiderare di vederlo un giorno in ruoli di maggiore importanza. Solidi anche gli altri personaggi minori, interpretati da abituali del teatro come Fernando Radó (lo zio Bonzo), Tomeu Bibiloni (il ricco Yamadori) o Marta Fontanals-Simmons (Kate Pinkerton).
Fantastici, inoltre, tutti i figuranti che partecipano alla produzione, per la quale è stato espressamente coinvolto un buon numero di attori orientali. Una menzione speciale va al bambino Álvaro Torres, chi ha dimostrato una grande professionalità come figlio di Butterfly.
Il Teatro Real ha annunciato che tutte le rappresentazioni del titolo saranno dedicate, in occasione del centenario della sua nascita, alla storica soprano barcellonese Victoria de los Ángeles, chi portò la sua interpretazione di Cio-Cio-San nei grandi teatri del mondo.
El Teatro Real de Madrid cierra una irregular temporada 2023/24, plagada de títulos contemporáneos y sin rastro de figuras esenciales como Rossini o Richard Strauss, con diecinueve representaciones de la producción de Madama Butterfly ideada por Damiano Michieletto para el Teatro Regio Torino en 2010. Para la ocasión se ha contado con nada menos que cuatro repartos diferentes, al tratarse este de uno de los títulos operísticos más queridos por el público.
Abucheado en el estreno, Michieletto despoja a la ópera de los típicos kimonos, el tantō con el que Butterfly se suicida, y la ambientación nipona estereotipada, un mundo que según el propio Michieletto, pese a aparentar todo lo contrario, carece de espiritualidad, resaltando de forma descarnada el tema central de la trama, y evitando edulcorar la violencia de la tragedia. Para ello, la escena se sitúa, en lugar del Nagasaki de 1890, en la periferia de una ciudad asiática actual no identificada (como muestra de la ambigüedad espacial, los carteles luminosos en japonés, chino y tailandés), y la compra de adolescentes es sustituida por la práctica del turismo sexual y la prostitución. Butterfly no es aquí una niña de quince años, sino una meretriz curtida; sin embargo, su ingenuidad se ve reforzada por un vestuario infantil (una camiseta de Hello Kitty durante los actos segundo y tercero) o los muñecos de peluche tirados por el suelo de su “hogar”, un cubo transparente en medio de la sórdida escenografía de Paolo Fantin, alegoría de un lupanar.
Si bien no nos encontramos ante el genial Michieletto de L’elisir d’amore, Sigismondo o Il viaggio a Reims, la idea general –un Pinkerton al que no le importa si su esclava sexual, de usar y tirar, tiene doce o quince años– funciona, además de tratarse, como en sus producciones de los títulos anteriormente mentados, de una actualización digna y respetuosa con el libreto. En este mismo teatro se han visto montajes tradicionales mucho más disparatados o dramatúrgicamente cuestionables aplaudidos de forma unánime por el público. Si la actualización es constructiva, bienvenida sea. Resultó impactante la dramatización del intermezzo del tercer acto, donde el resto de niños del barrio hacen bullying al hijo de Butterfly por su aspecto diferente, así como el final, en el que Cio-Cio-San se suicide en presencia del niño, arrebatado por Pinkerton de los brazos de su madre. Ahora bien, es necesario también señalar algunas debilidades, tales como la por momentos nula dirección actoral con los cantantes (más acusada con el personaje de Suzuki), o la banalización de la escena del tío Bonzo y la comunidad de Nagasaki repudiando a Butterfly.
Nicola Luisotti, quien suele mostrarse en su salsa en este repertorio, aunque correcto, evidenció una falta de tensión palpable, con momentos bastante rutinarios, de tempi morosos y pocos matices –véase el dúo de las flores–, a su vez junto con elecciones sorprendentes –véase el precipitado final al doble de velocidad de lo acostumbrado– e instantes de gran belleza en los que la orquesta titular del teatro supo hacer brillar la genial orquestación pucciniana.
Encomiable en su breve cometido, como de costumbre, el Coro Intermezzo, que, curiosamente, no compareció en los saludos finales. Si bien impactante en la escena de la boda, su labor en el coro a bocca chiusa se vio seriamente perjudicada por la problemática decisión de situar al coro detrás del escenario, resultando casi inaudible.
Es evidente que Cio-Cio-San no es un papel vocalmente apropiado para Saioa Hernández, quien últimamente ha abordado roles absolutamente dispares como Amelia de Un ballo in maschera, Turandot o Medea. El poderío vocal, los graves generosos y proyección imponente de Hernández tienen poco que ver con la niña servil, candorosa e inocente que Giacosa, Illica y Puccini dibujan en el libreto y la partitura, respectivamente. Además, su escena de salida se vio lamentablemente perjudicada al ser situada por Michieletto en una escalera, en la parte superior del escenario. No obstante, y pese a un fraseo un tanto ayuno en fantasía, supo sacar adelante su parte con la profesionalidad que le caracteriza. Hernández, quien debutaba el papel de Madama Butterfly –además de que por fin se le premiaba en el teatro con el papel protagonista en el primer cast–, se mostró plenamente en forma tras la puntual indisposición que le llevó a cancelar su participación en la función anterior, con un final dramáticamente impecable. Así lo atestiguo la sonora acogida de los asistentes, junto con Lusiotti, la más entusiasta del elenco.
El tenor americano Matthew Polenzani, asiduo en las temporadas del MET de Nueva York, y cuya caracterización –avanzada edad, peinado y corbata roja– recordaba inevitablemente al expresidente estadounidense Donald Trump, ofreció una adecuada interpretación del ingrato Pinkerton, uno de los personajes más odiados de la historia de la ópera. Aun con un timbre algo caprino y estridente, se mostró siempre brillante en los agudos, además de implicado con la escena.
Igualmente incontestable fue la labor de Lucas Meachem como el cónsul Sharpless, aunque con un carisma escénico bastante inferior al vocal, desaprovechando la oportunidad que Michieletto le confiere a su rol, con una mayor implicación en la trama, y no como mero espectador de la concupiscencia e inmoralidad de Pinkerton.
Silvia Beltrami constituyó un buen complemento a la Butterfly de Saioa Hernández, de voz bien timbrada y aseados graves, aun acusada por un vibrato algo molesto.
Resultó todo un lujo contar con un comprimario como Mikeldi Atxalandabaso como Goro, despreciable personaje, aquí una especie de proxeneta, bien dibujado por la regia. Seguimos quedándonos con las ganas de verlo algún día en roles de mayor enjundia. Solventes también el resto de personajes menores, asumidos por habituales de la casa como Fernando Radó (el tío Bonzo), Tomeu Bibiloni (el rico Yamadori) o Marta Fontanals-Simmons (Kate Pinkerton).
Fantásticos, asimismo, todos los figurantes que intervienen en la producción, para la que se ha contado expresamente con un buen número de actores orientales. Especial mención al niño Álvaro Torres, quien demostró una gran profesionalidad como hijo de Butterfly.
El Teatro Real ha anunciado que todas las funciones del título estarán dedicadas, con motivo del centenario de su nacimiento, a la histórica soprano barcelonesa Victoria de los Ángeles, quien pasearía su interpretación de Cio-Cio-San por los grandes teatros del mundo.