Non è possibile accostarsi ad Ariadne auf Naxos di Richard Strauss su libretto di Hugo von Hofmannsthal, senza contestualizzare le profonde trasformazioni e le relative influenze che stanno avvenendo in Europa e nel mondo in quegli anni.
I venti di guerra soffiano con tragica certezza, le pellicole del cinema cambiano l’approccio alla curiosità degli spettatori, il futurismo di Marinetti permea la discussione culturale, Sigmund Freud modifica la lettura dei nostri istinti e Panama abbatte confini geografici nelle relazioni sociali e commerciali. La politica genera in Germania l’embrione del nazionalsocialismo, in letteratura Kafka e Joyce abbattono l’esercizio di stucchevoli lirismi, nella pittura De Chirico e Mondrian aprono nuovi ed astratti orizzonti artistici.
Nel panorama musicale d’oltreoceano si è già maturi per la radiodiffusione e sperimentare nuovi ritmi e linguaggi musicali, in Europa e Italia Giacomo Puccini sta lavorando a quella che sarà la sua incompiuta Turandot e da più parti si sussurra che con il Maestro lucchese si chiuderà l’opera lirica di tradizione.
In questo panorama sommario ed a volo di rondine, nel 1916 Hofmannsthal e Strauss (che nulla ha a che fare con la famiglia viennese dei valzer), sperimentano un coraggioso “divertissement operistico” che separa influenze wagneriane e forma nuovi paradigmi con innesti strumentali e musicali di grande effetto.
Fondono con brillante risultato la commedia e l’opera in una sorta di storia nella storia di grande modernità; quasi un anticipo di un metaverso operistico che solo compositori di grandi basi culturali e musicali possono affrontare in un risultato di spessore che appaga lo stupore.
La moderna, disinibita e frivola Zerbinetta (circondata da altri cicisbei di richiamo alla commedia molieriana) sempre attratta da nuovi amanti, conforta e rassicura l’afflitta principessa Arianna (circondata a sua volta da Naiadi e Ninfe come si confà ad una struttura di greca tragedia) sulla facile sostituibilità degli uomini. Ariadne è caduta nell’angoscia e nel dolore per la perdita dell’amato Teseo ed invoca la morte e ritroverà senno e amore nel dio Bacco approdato nell’isola di Nasso. Finalmente Zerbinetta può tornare a godere dei suoi quotidiani amanti e Arianna a riempire il cuore del suo nobile sentimento. L’epilogo vede dunque un unico dio che è – pur con interpretazioni diverse – sempre l’amore.
Come nella rappresentazione primaria dell’insiemistica, i cerchi degli elementi di prologo e opera si intrecciano; entrano ed escono formando una farsa di straordinario ed evoluto effetto teatrale.
Sinossi della storia: un ricco borghese (che non appare mai) incarica – tramite il suo Maggiordomo (solo recitante) – un musicista ed un compositore di produrre uno spettacolo per intrattenere i suoi ospiti invitati ad una festa nella sua villa. Per accontentare tutti i gusti, vengono presentati una commedia buffa ed un’opera tragica le quali, ritenute troppo lunghe, si ordina vengano fuse in un’unica storia (opera in un prologo e un atto) scatenando l’ira dei due maestri. Tutto qui e sembra facile, quasi banale.
Da qui tutti gli intrecci, i tanti interpreti, i cambi di costumi e scenografici, un testo difficilissimo ed una prova orchestrale molto impegnativa. Arie, duetti, terzetti e quartetti, rondò e cabalette richiedono voci di accurata preparazione e presenze costanti in proscenio.
Una produzione – questa Ariadne al Teatro La Fenice – di bella e pregevole qualità. La regia di Paul Curran e le scene e costumi di Gary McCann sono azzeccate nel loro richiamo cinematografico moderno da una parte e nell’accennato barocco dall’altra accompagnando lo spettatore in un coerente ed armonioso flashback di porte girevoli sulla trama dell’opera.
Luci, colori e fantasmagoria scenografica richiamano il bozzetto di Umberto Boccioni della “Citta che sale”, futurista anch’egli, ed acquistato poi dal musicista Ferruccio Busoni nello stesso periodo di nascita dello sperimentale lavoro di Strauss.
L’Orchestra del teatro La Fenice accoglie in armonia i nuovi ruoli strumentali inseriti dall’esigenza musicale di Strauss (un Glockenspiel, una celesta, un armonium e più percussioni) e l’energica direzione del Maestro Markus Stenz, ben interpreta ed amalgama tutti gli elementi dei quali è maestro e concertatore.
Tutto il cast è giovane e tutte le voci sono di assoluto rilievo. Il Maggiordomo (Karl-Heinz Macek) ha parte solo parlata ma la sua presenza scenica è ben strutturata.
L’interpretazione di Erin Morley in Zerbinetta è, a dir poco, pregevole: lei è brillante, graziosa, una “Barbie” consapevole del suo fascino e cosciente della volubilità dello stesso. La Morley impersona un ruolo sopranile leggero difficilissimo, denso di tessiture insidiose che richiedono squilli estesi, centrali sostenuti e filati prolungati di veri vocalizzi di bravura. Lei c’è, sorride, ammicca e le sue cavatine o cabalette in forma di rondò, fanno apparire facile e leggero ciò che chi ascolta ha pure orecchio severo.
Il suo assolo nell’opera di conforto ad Arianna sugli uomini “…. Treulos – sie sinds! Ungeheuer, ohne Grenzen! Eine kurze Nacht, Ein hastiger Tag, ein Wehen der Luft, ein fließender Blik verwandelt ihr Herz!.. è rara prova di caratura vocale.
Molto bella anche la voce e la presenza scenica di Sara Jakubiak. Una Ariadne intensa, drammatica che vede nella morte l’unica via d’uscita per superare il dolore di un sentimento perduto. Il suo lamento è permeato di un richiamo seicentesco di grande stile. La brava Jakubiak si esprime con voce potente di soprano drammatico.
Anche nel suo allontanarsi dal bordo del proscenio, i timbri sono ampi, bruniti, solidi nella disperazione e svolgono al dolore con pianissimi levigati. Nell’invocazione “Du shöner, stiller Gott! Ach, von allen wielden Schmerzen muß das Herz gereinigt sein… Du wirst mich brefreien, mir selber mich greben, dies lastende Leben, du nimmst es von mir. An dich werd ich mich ganz verlieren, bei dir wird Ariadne sein!” è di espressiva ed intensa commozione.
Bacco (John Matthew Myersy) ha rigida presenza e non sempre a suo agio per il ruolo richiesto dalla partitura che lo vede, al suo arrivo, dio risolutore delle pene d’amore. Non abbraccia, non bacia e non tocca Arianna, il timbro è spigoloso, a tratti ruvido e spinto, non sempre assestato nel manifestare l’amore dell’apoteosi finale. Il fraseggio tedesco non aiuta il californiano che nel “Ich sage dir, nun hebt sich erst das Leben an Für dich und mich!” o “Nun steigt deiner Schmerzen innerste Lust in dein un meinem Herzen auf!” esprime affatto l’emozione e la solennità del desiderio.
Bene il baritono Maestro di Musica ed il mezzosoprano Compositore, rispettivamente Markus Werba e Sophie Harmsen, fisicamente impegnati a mettere ordine nella confusione organizzativa delle richieste, sono ben bilanciati nella voce e nel teutonico fraseggio.
Efficaci e davvero travolgenti nei quartetti, Scaramuccia (Mathias Frey), Truffaldino (Szymon Chojnacki), Brighella (Enrico Casari), e Arlecchino (Aneas Humm) si distingue per voce baritonale ben strutturata, brunita che emerge chiara anche dietro le quinte nel suo “Lieben, Hassen, Hoffen, Zagen, Alle Lust und alle Qual, Alles kann ein Herz ertagen Einmal um das andere Mal…” rivolto ad Arianna.
Argentino, limpido con belle colorature il trio composto dal contralto Marie Seidler (Driade), dai soprani Jasmin Delfs (Najade) e Giulia Bolcato (Eco) e davvero delicati i pianissimi in “Töne, töne, suße Stimme, Fremder Vogel, singe wieder, Deine Klagen, sie beleben, uns entzücken solche Lieder! “
Una presenza scenica che invita al sorriso, sostiene la voce tenorile del Maestro di ballo Blagoj Nacoski se pur talvolta l’impeto orchestrale tende a sovrastare e questo accade anche per i bassi Francesco Milanese (Parrucchiere) e Matteo Ferrara (Lacchè) che si trovano spesso a fondo scena.
L’Ufficiale è il giovane tenore Nicola Pamio.
Teatro pieno e tanti applausi con molti “bravo” dagli spettatori che hanno accolto un’opera rara nelle date di rappresentazione, dimostrando apprezzamento per produzioni e composizioni di non facile lettura.
Nell’intervallo dell’opera, tra il prologo e l’atto unico, il Sovrintendente Fortunato Ortombina, esce in palco accompagnato da Claudio Magnanini – trombone dell’Orchestra Teatro La Fenice – tributandogli l’omaggio per il suo ultimo giorno di lavoro dopo 40 anni di attività. Standing ovation ed emozione da parte di tutti i colleghi ed il pubblico presente. Visibilmente commosso, il professore ringrazia e dichiara il suo grande orgoglio e grande soddisfazione di aver lavorato nel teatro più bello al mondo nella città più bella al mondo. Come dargli torto!