Opera Mundus

Teatro dell’Opera di Roma: Simon Boccanegra (cast alternativo)

Teatro dell'Opera di Roma - Simon Boccanegra (cast alternativo) - ph Fabrizio Sansoni - recensione Opera Mundus
Teatro dell'Opera di Roma - Simon Boccanegra (cast alternativo) - ph Fabrizio Sansoni - recensione Opera Mundus

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La serata di domenica scorsa, che ha visto sul palcoscenico del Costanzi la terza replica del Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi, titolo che inaugura la stagione 2024/25 del Teatro dell’Opera capitolino, è stata un autentico trionfo suggellato da oltre 10 minuti di scroscianti applausi rivolti con uguale intensità all’indirizzo del cast vocale e del direttore d’orchestra Michele Mariotti.

Il pubblico presente in sala ha salutato con caloroso entusiasmo una rappresentazione che rasenta la perfezione: eccellenti gli interpreti, tra cui Luca Salsi nel ruolo del titolo, la cui partecipazione, non prevista per questa replica, è stata accolta con grande apprezzamento dalla platea; magnifica l’orchestra del Teatro, notevole la regia di Richard Jones.

Forte di una consolidata esperienza nel repertorio verdiano, il regista britannico firma per la prima volta l’allestimento del Simon Boccanegra in questa nuova produzione del Teatro dell’Opera di Roma. La sua rilettura del libretto sposta l’azione dalla Genova del XIV secolo a una Genova novecentesca e metafisica; evidenti sono i rimandi nelle scene (opera di Antony McDonald) ai quadri di Giorgio De Chirico, in particolare nella scenografia del prologo che viene poi riproposta identica nel terzo atto come a sancire, 25 anni dopo l’inizio della storia, la chiusura di un cerchio. Infatti, mentre nel prologo l’abitazione dalla quale esce sconvolto Simone prima di essere acclamato doge dal popolo è quella di Jacopo Fiesco dove egli aveva appena scoperto il corpo senza vita dell’amata Maria, nel terzo atto la stessa abitazione è ora il palazzo ducale e qui Boccanegra esala il suo ultimo respiro, adagiato sullo stesso letto che un tempo accolse l’amata dopo aver benedetto la figlia e indicato nel di lei marito, Gabriele Adorno, il suo successore. Jones costruisce così un contrappunto drammatico struggente: dove nel prologo lo strazio di Simone per la perduta Maria veniva sovrastato dall’entusiasmo popolare per la sua elezione, nel finale il dolore per la morte del doge oscura quella che sarebbe dovuta essere la gioia della figlia (anch’ella come la madre di nome Maria) convolata a nozze con il patrizio Gabriele proprio quel giorno. Ad accentuare l’atmosfera sospesa e onirica si aggiunge l’enigmatica comparsa all’inizio del prologo e nel finale del terzo atto di una bambina, forse un fantasma della memoria del protagonista, una visione dell’infanzia dell’adorata figlia che non ha potuto seguire. Ma questi suggestivi e ben riusciti espedienti non sono gli unici tratti significativi di una regia curatissima e che ha saputo restituire in massimo grado quello scavo psicologico e tridimensionale dei personaggi ben presente già nel libretto che Boito portò alla sua forma definitiva nel 1881 partendo da quello scritto da Francesco Maria Piave ventiquattro anni prima. Degna di nota è anche la scena allestita nel secondo atto: qui la camera da letto del doge non ha nulla di sfarzoso che possa far pensare alla stanza di un palazzo principesco, essa è anzi angusta, scarsamente arredata ma opprimente proprio come lo sono i pensieri che affliggono il suo abitante. Lo sfarzo è una componente assente anche nei costumi (realizzati sempre da Antony McDonald): se non lo sapessimo dalla trama nulla ci suggerirebbe di concludere che Adorno, Boccanegra, Fiesco e così via siano persone di alto rango. I contrasti che si vengono a creare tra le diverse fazioni assumono così un carattere atemporale e universale e non solo banalmente legati a una differenza di censo in un determinato periodo storico; d’altra parte Verdi giudica severamente i suoi contemporanei, uniti solo de iure nel neonato Stato Italiano ma de facto ancora divisi da mille divergenze e rivalità. E la critica di Verdi appare prepotente nello splendido finale del primo atto ambientato nella Sala del Consiglio, un capolavoro sotto ogni aspetto. Vale la pena sottolineare a proposito di questa scena il pregevole lavoro di Adam Silverman alle luci e di Sarah Kate Fahie per quanto riguarda la coreografia cui i movimenti d’armi sono stati curati da Renzo Musumeci Greco.

Il tema politico, per quanto centrale, non è il solo attorno a cui ruota l’opera che vede nell’amore l’altro grande tema trattato: amore passionale, tra Gabriele e Amelia (alias Maria Boccanegra), e amore filiale, a sua volta diviso in un amore filiale in senso stretto, tra Simone e la figlia ritrovata, e in senso lato tra Amelia/Maria e Jacopo Fiesco, di fatto padre adottivo nel primo atto ma come ben sappiamo dal prologo nonno naturale (la trama, ci rendiamo conto, è decisamente intricata!). La musica di Verdi, con la sua tinta scura e malinconica e quell’incedere placidamente ondeggiante che ascoltiamo fin dal primo preludio, non è solo il riflesso sonoro delle calme onde del mare, ma anche e soprattutto del mare di turbamenti, pensieri, rimorsi, rancori e sensi di colpa che alternativamente toccano tutti i personaggi del dramma; a dare vita e respiro a questa partitura ci hanno pensato egregiamente i professori dell’orchestra del teatro diretti da Michele Mariotti. Guidata dalla bacchetta del suo direttore l’orchestra sembra comportarsi come un unico strumento dalle molteplici voci e dal timbro cangiante, l’approccio alla partitura è scrupolosissimo e Mariotti ne coglie e sottolinea ogni più sottile accento e sfumatura.

Non sono da meno i cantanti, tutti eccezionali, a cominciare da Luca Salsi che interpreta Simon Boccanegra. Il baritono modula la sua splendida voce adattandola di volta in volta alle esigenze drammaturgiche: dal tono sussurrato, a quello imperioso e tonante, a quello cupo e tenebroso. Parimenti si comporta Maria Motolygina nel ruolo di Amelia/Maria. Il soprano domina con sicurezza tanto il registro grave quanto e soprattutto quello acuto, tanto le parti più “declamate” quanto quelle più eminentemente liriche; insieme a Salsi è protagonista della scena del riconoscimento tra padre e figlia, uno dei momenti più intensi dell’opera, cantato e recitato con tale profondità drammaturgica che chi vi scrive ha colto ben più d’un commosso tirar su col naso e di un sussurrato “wonderful” – reazioni diverse ed entrambe ampiamente sottoscrivibili. Il tenore Anthony Ciaramitaro è un Gabriele Adorno magistrale: straordinariamente convincente tanto come cantante quanto come attore ha il suo momento di maggior fulgore nel secondo atto nella celebre aria “O inferno! Amelia qui!”. Impeccabile la prova Riccardo Zanellato che con la sua voce calda e profonda impersona l’altero Jacopo Fiesco. Ottimo anche Gevorg Hakobyan nei panni di Paolo Albiani, il baritono eccelle per espressività dimostrando anch’egli un perfetto controllo nella parte più lirica e in quella più “recitata”. Una menzione speciale merita il Pietro interpretato dal bravissimo Luciano Leoni. Completano felicemente il cast dei solisti Caterina D’Angelo e Enrico Porcarelli nei panni rispettivamente dell’ancella di Amelia e del capitano dei balestrieri. Straordinario è poi il coro del Teatro dell’Opera diretto da Ciro Visco, chiamato sul palco dal primo all’ultimo atto si è sempre fatto trovare preparatissimo e in grande spolvero. Autentico protagonista al pari dei solisti, il coro, insieme a questi ultimi, è artefice del grandioso concertato che chiude il primo atto, dove spicca sì la straordinaria e toccante interpretazione dell’aria “Fratricidi! Plebe! Patrizi!” Cantata da Salsi, ma che è reso meraviglioso grazie al contributo di tutti, e meritatamente è stato tributato di un caloroso applauso degno di un finale d’opera.

Difficile pensare di inaugurare la stagione con un allestimento migliore di questo. Esso rende piena giustizia al capolavoro verdiano che dopo il fiasco della prima al Teatro La Fenice di Venezia nel 1857 non trovò la fortuna e il successo che meritava nemmeno dopo il rimaneggiamento (e miglioramento) operato da Verdi con l’aiuto di Boito nel 1881.

Ulteriori repliche sono previste il 3, 4 e 5 dicembre.

1 dicembre 2024 – Simon Boccanegra – Teatro dell’Opera di Roma

Melodramma in un prologo e tre atti di Francesco Maria Piave e Arrigo Boito

Musica di Giuseppe Verdi

CAST

Simon Boccanegra Luca Salsi

Maria Boccanegra (Amelia) Maria Motolygina

Jacopo Fiesco Riccardo Zanellato

Gabriele Adorno Anthony Ciaramitaro

Paolo Albiani Gevorg Hakobyan

Pietro Luciano Leoni

Ancella di Amelia Caterina D’Angelo

Capitano dei balestrieri Enrico Porcarelli

Direttore Michele Mariotti

Maestro del Coro Ciro Visco

Scene e costumi Antony McDonald

Luci Adam Silverman

Coreografia per i movimenti mimici Sarah Kate Fahie

Maestro d’armi Renzo Musumeci Greco

Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma

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Antonio De Benedittis

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