In quella deliziosa bomboniera quale è il Teatro Magnani di Fidenza, viene eseguita in occasione del Festival Verdi 2024, una pregevole edizione in forma di concerto di Attila.
Eseguire un’opera come in un concerto non è mai semplice, venendo di fatto a mancare una delle due componenti imprescindibili che rende l’opera “teatro in musica”. Una regia, lo sappiamo, può rovinare o esaltare tutto, ma quando non c’è lo sforzo richiesto alla componente musicale è doppio.
La compagine proposta nel piccolo teatro fidentino supera la sfida, convincendo quasi pienamente in un’opera tutt’altro che semplice.
A partire dalla Filarmonica Toscanini e dalla direzione di Riccardo Frizza, sapiente nel dosare i volumi con equilibrio senza rinunciare ad una lettura approfondita delle pagine verdiane che unisce con successo l’esaltazione e il piglio dei momenti più focosi ad interessanti e inaspettati risvolti lirici quasi belliniani, inquadrando per certi aspetti Attila come eredità diretta di un periodo musicale antecedente. Ne risulta una interpretazione estremamente fine, permeata tanto di oscurità e ira, quanto di slanciata brillantezza. Estremamente coerente con questa lettura è la prova del Coro del Teatro Regio di Parma, perfettamente aderente alla linea impressa da Frizza.
Il cast vocale si distingue in particolar modo per due dei protagonisti, ossia il basso Giorgi Manoshvili e il soprano Marta Torbidoni, rispettivamente Attila (debuttante nel ruolo) e Odabella.
Il primo è, per chi vi scrive, una autentica rivelazione per la sopraffina bellezza del suo timbro, avvolgente e penetrante allo stesso tempo, morbido e luminoso, caldo e perfettamente omogeneo in ogni registro, estremamente naturale e ben proiettato nell’emissione. Insomma, una di quelle voci che potremmo definire un balsamo per le orecchie. Se con i mezzi, si sa, non basta fare un personaggio, Manoshvili di certo non si ferma qui: lo scavo del suo Attila c’è tutto, in una interpretazione generosa non solo di volume ma di sfumature, dinamiche, colori, una dizione precisa ed un fraseggio sempre incisivo al servizio di un re dalle svariate sfaccettature caratteriali ed emotive.
Marta Torbidoni è invece una certezza da tempo. Perfettamente a proprio agio con la partitura e con la personalità di Odabella, Torbidoni sfodera agilità e acuti fin dall’insidioso ingresso in scena con disarmante facilità e destrezza, senza mai squilibrarsi troppo solo sul lato agguerrito ma anzi abbandonandosi sovente al respiro più lirico e intimo del personaggio. Una interpretazione davvero completa e toccante.
Solida la prova di Claudio Sgura come Ezio, seppure non in linea con le esaltanti performance di altre pagine nel quale siamo soliti apprezzarlo. L’esperienza, la perizia tecnica e l’approfondita capacità espressiva nel repertorio verdiano sono inconfondibili, tuttavia emerge talvolta qualche sbavatura e un vibrato leggermente fastidioso.
Antonio Corianò sostituisce Luciano Ganci nei panni di Foresto. Nonostante un apprezzabile impegno nel fraseggio e un timbro che di per sé non passa indifferente, l’intonazione è precaria, l’emissione a tratti nasale e il registro acuto forzato. Una prova che purtroppo non ci ha convinti.
A completare il cast vi sono gli ottimi Gabriele Sagona (Leone) e Francesco Pittari, sostituto di Anzor Pilia nella parte di Uldino.
Copiosi e meritati dal nostro punto di vista sono gli applausi durante e alla fine dell’opera per Manoshvili, Torbidoni e per la direzione, cordiali e generosi anche per le restanti parti.