Pelléas et Mélisande è uno dei titoli che hanno segnato la storia della lirica, soprattutto quella francese, che non sarà mai più la stessa dopo Pelléas. L’opera apre la strada a Ravel, Poulenc, Roussel, Honegger, Milhaud, fino a Messiaen…
Nel nuovo allestimento dell’Opéra di Parigi, la regia di Wajdi Mouawad restituisce lo spirito fin de siècle dell’epoca in cui furono creati il libretto (1893) e la musica (1902). Modernizzata senza cadere nell’imitazione, la messa in scena porta l’impronta di Spilliaert e della pittura simbolista belga, di Gustave Moreau e Odilon Redon, grazie alle suggestive proiezioni video di Stéphanie Jasmin. I personaggi, però, non vengono fagocitati dalle immagini, grazie al raffinato lavoro sulle luci di Éric Champoux e all’intelligente scenografia di Emmanuel Clolus. Quest’ultimo utilizza piattaforme mobili e un grande velo trasparente, su cui vengono proiettati i video, che permette ai cantanti di entrare e uscire di scena attraversando le immagini.
Dispiace, però, che i cantanti siano spesso relegati in fondo al palcoscenico, rendendo più difficile il loro confronto con l’orchestra.
L’orchestra dell’Opéra di Parigi, infatti, risulta troppo imponente. Evan Rogister concepisce Debussy come maestro dei tessuti orchestrali, ma non ne valorizza la sensibilità di orafo della parola. L’orchestra (pur meravigliosa) suona spesso troppo forte, dimenticando che l’opera fu creata all’Opéra-Comique, dove la buca orchestrale è piuttosto piccola e non può sostenere un suono così massiccio.
Per quanto riguarda i cantanti, la voce di Sabine Devieilhe è cristallina, perfetta per il personaggio di Mélisande, una giovane donna sospesa tra l’innocenza infantile e una seduzione inconsapevole. La sua dizione chiara (si capisce quasi tutto, quando non è coperta dall’orchestra) e la sua attenzione al testo di Maeterlinck ne fanno un’interprete ideale. Ma al di là di questa immagine di seduttrice involontaria, Devieilhe costruisce un personaggio profondamente incarnato: una ragazza forse non ancora ventenne, intrappolata in un luogo e in una situazione che non ha scelto, incapace di esprimere il suo disagio. Vale la pena assistere a questa produzione anche solo per la sua interpretazione.
Ma c’è anche Pelléas: Huw Montague Rendall ha una dizione raffinata e naturale, una voce ampia e una notevole espressività. Un Pelléas affascinante, che incarna perfettamente l’adolescente lunare e sognante.
L’interpretazione di Gordon Bintner nel ruolo di Golaud appare forse meno spontanea, con un’emissione a tratti un po’ arretrata e qualche sfumatura nasale. Tuttavia, la sua presenza scenica è notevole, e il suo Golaud è potente e convincente. Potente e autorevole è anche l’Arkel di Jean Teitgen, mentre Sophie Koch regala un’intensa Geneviève. Da segnalare, inoltre, la bella voce di Amin Ahangaran nel ruolo del medico e la straordinaria performance della giovanissima Anne-Blanche Trillaud Ruggeri nei panni di Yniold.
In definitiva, una splendida serata dedicata a un capolavoro – pur con alcuni squilibri tra voci e orchestra.