Assente da Napoli dal 2021, quando inaugurò in forma di concerto la seconda stagione della rassegna estiva del Teatro San Carlo in piazza del Plebiscito, Carmen, opéra comique in quattro atti di George Bizet, torna questa volta nella sala del massimo teatro del capoluogo campano, in un allestimento scenico per la regia di Daniele Finzi Pasca e le scene di Hugo Gargiulo. Nella serata di martedì 29 ottobre, l’opera ha riscosso calorosi applausi da un pubblico variegato e poliglotta (chi scrive ha notato che, sulle scale che portano ai palchi, durante le pause si scambiavano pareri perlopiù in francese o spagnolo, curiosa coincidenza).
Lo spettacolo si rivela particolarmente godibile grazie a una scenografia essenziale che, anziché riprodurre luoghi fisici, si basa su raffinati giochi di luce e chiaroscuri elaborati dal regista insieme ad Alexis Bowles. Ogni atto è permeato da un colore dominante diverso, cui si accordano anche i costumi firmati da Giovanna Buzzi, riflettendo così il mood dei protagonisti. Questa scelta sposta l’ambientazione in un luogo senza tempo dell’Europa mediterranea, evocato anche dalla presenza dei tipici archi luminosi delle feste popolari del Sud. La resa complessiva risulta molto efficace e visivamente accattivante, nonostante alcune (poche!) scelte discutibili: le teste di toro – francamente evitabili – poste in cima a due monocicli e trasportate avanti e indietro sul palcoscenico nel primo e nel terzo atto come a ricordarci che siamo a Siviglia; o ancora i corti bastoni al neon (che ricordano vagamente le spade laser di Star Wars) utilizzati prima per rappresentare le manette di Carmen durante il suo arresto, poi per simboleggiare le catene d’amore che la legano a Carmen un irrimediabilmente irretito Don José, un’idea suggestiva ma non adatta a tutte le retine. Una menzione speciale meritano invece le bellissime coreografie del Balletto del Teatro, curate da Maria Bonzanigo.
Sul versante musicale, l’Orchestra del Teatro San Carlo ha offerto una grande prova sotto la bacchetta di Dan Ettinger, già sul podio nella versione concertistica del 2021. Vale la pena sottolineare che in Carmen, Bizet assegna alla musica un ruolo di primo piano: le melodie, meravigliose, abbracciano una varietà ampia di stili e registri e sono arricchite da armonie audaci, rispecchiando lo scabroso dramma messo in scena che all’epoca suscitò sconcerto nel pubblico e nella critica, causando il clamoroso fiasco della prima del 3 marzo 1875. In quest’opera la musica dà corpo e volume ai personaggi, ai moti del loro animo e al loro destino, il cui tema, citato nell’overture, riaffiora nei lungo tutto il corso dell’opera. Il maestro Ettinger rende perfettamente giustizia a tutto ciò. Le dinamiche ben calibrate accompagnano perfettamente, e senza mai sovrastare, i cantanti sulla scena; la direzione appare vigorosa e decisa, e si libra ora potente ed energica nel preludio del primo atto, in cui spicca la sonorità delle percussioni, ora soave e sognante come nel secondo intermezzo, dove brilla la prova del primo flauto cui è affidato l’etereo tema principale. Il fraseggio è quindi curato molto scrupolosamente e la scelta dei tempi viene adattata alle esigenze drammaturgiche. Il gesto del direttore è sempre netto e sicuro, conferendo una nota di risolutezza alle chiusure di molti momenti e sezioni, un tratto di grande effetto e molto apprezzabile.
Veniamo ora al cast degli interpreti artefice complessivamente di un’ottima prova sia sotto il profilo vocale sia sotto quello attoriale. Innanzitutto, la bravissima Aigul Akhmetshina offre un’interpretazione magnetica e convincente dell’ammaliante sigaraia. La sua Carmen è vitale e carismatica fin dal primo atto, dove fa il suo ingresso ad effetto attraverso un secondo sipario posto sul fondo del palcoscenico. Vocalmente, il mezzosoprano russo si distingue per una linea di canto limpida e sicura lungo tutta la tessitura, particolarmente evidente nell’Habanera, dove unisce alla perfezione il controllo tecnico a una gestualità sensuale e misurata. La stessa padronanza vocale e scenica caratterizza anche la Seguidilla e la Chanson bohème, momenti nei quali il pubblico le ha tributato meritati e calorosi applausi. La sua interpretazione riesce a catturare perfettamente la natura “dionisiaca” (per dirla alla Nietzsche) del personaggio, amante della vita, ma di una vita libera e svincolata dalle convenzioni e ancor di più dalle costrizioni, conferendogli così una profondità psicologica che va oltre il semplice stereotipo della femme fatale. A fare da contraltare alla protagonista, quasi come suo alter ego, troviamo Micaëla, incarnazione della ragazza pura e di una semplicità che sconfina quasi nell’ingenuità. In questo ruolo, Selene Zanetti offre una prova convincente, dimostrando un saldo controllo vocale, in particolare nel terzo atto con una toccante esecuzione dell’aria Je dis que rien ne m’épouvante. Qui, il soprano, immerso in un’atmosfera notturna resa da uno sfondo blu scuro e impreziosita da un suggestivo gioco di lampadine che compongono come una sorta di luna (o, vista frontalmente, un cuore) si muove con malinconica grazia, dimostrando anche una notevole carica espressiva.
Passando alle figure maschili, incontriamo Don José. Uomo all’apparenza rispettabile, dedito al lavoro e figlio devoto, cela in realtà una natura pavida e un’indole debole, frutto di una vita di cieca obbedienza verso ogni autorità, sia essa la madre o il comandante della sua guardia. L’irruzione di Carmen nella sua esistenza sconvolgerà i suoi fragili pilastri: la cieca passione lo porterà a perdere progressivamente il controllo di sé fino a farsi consumare da una gelosia ossessiva che culminerà nel tragico omicidio finale. Dmytro Popov restituisce benissimo questa complessa parabola, sostenendola con una prestazione vocale di alto livello, caratterizzata da un controllo tecnico impeccabile che brilla particolarmente negli acuti.
Terzo vertice del triangolo amoroso, lo spavaldo e pieno di sé torero Escamillo trova in Mattia Olivieri un interprete carismatico e teatralmente convincente. Il baritono si distingue in particolare nel terzo atto durante i couplets, dove domina il palcoscenico con la sicurezza di un vero istrione, che però in alcune occasioni compromette lievemente la sua tenuta vocale non sempre a fuoco. Lieve ombra che viene dissipata nel quarto atto, dove Olivieri offre una prova vocale impeccabile e priva di sbavature.
Bravissime poi Floriane Hasler nel ruolo di Mercédès e Andrea Cueva Molnar in quello di Frasquita, quest’ultima in particolare si distingue per la sua voce cristallina e il perfetto controllo degli acuti specialmente nei momenti che vedono protagoniste le tre zingare nel Terzetto “delle carte”.
Completano il cast con validissime performance Pierre Doyen nel ruolo di Moralès, Nicolò Donini in quello di Zuniga, Régis Mengus e Loïc Félix nei ruoli rispettivamente di Le Dancaïre e Le Remendado, e quindi di Silvia Cialli (Une Merchande d’Orange), Giacomo Mercaldo (Un Bohémien) e Sergio Valentino (Lillas Pastia).
A completare il quadro di questa produzione, il Coro e il Coro di voci bianche del Teatro di San Carlo, diretti rispettivamente da Fabrizio Cassi e Stefania Rinaldi. Chiamati frequentemente in causa da Bizet lungo tutto lo svolgimento dell’opera, entrambi gli ensemble corali si sono dimostrati pronti e preparati in tutte le occasioni offrendo delle prove pienamente convincenti.
In definitiva un allestimento pregevolissimo per un grande classico del teatro musicale. Lo spettacolo sarà in scena al San Carlo fino a domenica 3 novembre.