Nella serata di mercoledì 20 novembre 2024, il capolavoro operistico di Antonin Dvorak Rusalka – Fiaba lirica in tre atti ha inaugurato la Stagione d’Opera e Danza 2024/2025 del Teatro San Carlo di Napoli, l’ultima firmata da Stéphane Lissner. Al sovrintendente uscente va riconosciuto il “coraggio” di aver scelto, per l’apertura di stagione, un titolo insolito e raramente rappresentato, soprattutto in Italia. Tale decisione è stata motivata dallo stesso Lissner in quanto l’opera del compositore ceco possiede una “straordinaria potenza poetica e musicale, capace di toccare corde universali e profondamente contemporanee”. Ciò non sorprende dato che Dvorak si dedicò con vivo entusiasmo alla stesura di quest’opera tra la primavera e l’autunno del 1900. Il libretto dal poeta e drammaturgo ceco Jaroslav Kvapil attinge a un ricco patrimonio di tradizioni mitologiche, dalle leggende nordiche a quelle di area mediterranea, lasciandosi influenzare anche da illustri precedenti letterari come “Undine” di Friedrich de la Motte Fouqué e “Sirenetta” di Hans Christian Andersen. La trama segue le vicende di Rusalka, ninfa delle acque che si innamora perdutamente di un principe solito bagnarsi nel suo lago. Tormentata dalla passione per l’avvenente sconosciuto, la protagonista cerca aiuto e conforto nello Spirito delle acque Vodník. Egli, dopo aver tentato invano di dissuaderla dall’assecondare questi sentimenti e dal desiderio di assumere sembianze umane, cede di fronte alla risolutezza della ninfa, suggerendole di rivolgersi alla fattucchiera Ježibaba. La strega eseguirà l’incantesimo per tramutare Rusalka in donna, ma la trasformazione costerà a quest’ultima la perdita della voce. Divenuta umana, la sua bellezza e l’aria svagata e spaesata che assumerà nel mondo degli umani, incanteranno effettivamente il principe, il quale però, frustrato dall’impossibilità di comunicare con la misteriosa fanciulla e turbato dalla sua freddezza, si stancherà ben presto di lei e volgerà le sue attenzioni verso una principessa straniera. Questo è in breve lo spirito della favola, che tocca i temi prediletti della poetica romantica, ossia il legame viscerale con la natura, un’ambientazione fantastica e un amore impossibile.
L’incomunicabilità e pertanto l’impossibilità di stringere legami duraturi tra creature appartenenti a mondi diversi è ciò che rende questo racconto interessante e affascinante anche al giorno d’oggi. Ed è proprio questo il punto cardine attorno a cui il regista e scenografo Dmitri Tcherniakov ha costruito la sua visione dell’opera in concerto con la dramaturg Tatiana Werestchagina, immergendo letteralmente Rusalka nelle acque della contemporaneità. Purtroppo il risultato non è del tutto convincente, generando invece fastidiose dissonanze tra la scena e il libretto originale. Le allegre ninfe del lago si trasformano in atlete di nuoto sincronizzato che trascorrono le loro giornate in piscina sotto lo sguardo di Vodník, non più nobile Spirito delle acque ma burbero e perfino molesto allenatore. Ježibaba, pur mantenendo l’aura sinistra del personaggio originario, viene reinventata come una delle tante ciarlatane che pratica l’ipnosi sui suoi pazienti fumando o tracannando alcolici direttamente dalla bottiglia. Il principe è un vacuo figurino superficiale e capriccioso, una versione sbiadita del Duca di Mantova verdiano che, anziché acquisire spessore psicologico in questa nuova veste, risulta invece più piatto rispetto al libretto originario; stesso dicasi per la principessa straniera. Ancora più discutibile appare la provocatoria trasformazione del guardiacaccia e dello sguattero nei panni, rispettivamente, del padre e della madre di Rusalka: una snaturalizzazione inutile, poiché, stando ai dialoghi e agli sviluppi drammaturgici, nemmeno con la più sfrenata fantasia si potrebbe concludere che i due siano i genitori della protagonista. Il finale dell’opera presenta poi un’ulteriore forzatura: se la scena del principe pentito che implora il perdono di Rusalka e cerca la morte nel suo bacio fatale rimane fedele all’originale, del tutto gratuita appare l’aggiunta di Vodník che infierisce sul principe agonizzante con pugnalate inferte ad altezza del collo, introducendo una violenza tanto esplicita quanto immotivata.
Se la rilettura del libretto mostra le debolezze appena elencate, più efficace risulta la soluzione scenografica adottata. Tcherniakov sostituisce infatti la scenografia tradizionale con un pannello-sipario che occupa l’intera bocca d’opera, sul quale viene proiettato un cartone animato (realizzato Alexey Poluboyarinov, video designer e Maria Kalatozishvili, lead animation artist) i cui protagonisti riproducono fedelmente le fattezze dei cantanti. Questa proiezione animata supporta la narrazione, aiutando il pubblico a orientarsi nell’impervia rivisitazione e funge inoltre da dinamico dispositivo per i cambi scena. Il pannello si rivela poi una struttura mobile e modulare squarciandosi in rettangoli di diverse dimensioni che, muovendosi sulla scena, incorniciano efficacemente i cantanti (coadiuvate in questo dalle luci di Gleb Filshtinsky) seguendone fluidamente i movimenti, creando un dialogo costante tra dimensione reale e animata. Unico limite di questa soluzione è la sovrapposizione dei sopratitoli in italiano alle immagini animate, che ne compromette talvolta la leggibilità, rendendo non sempre agevole la comprensione del testo (in ceco) cantato.
Nel contesto di una scenografia così concepita e di una drammaturgia rivisitata nel modo sopra descritto una menzione particolare merita la scena dell’incontro tra il principe e Rusalka che chiude il primo atto. Se nel libretto di Kvapil l’incontro avveniva nel bosco durante una battuta di caccia al cerbiatto, qui osserviamo il cartone animato che ci mostra il principe a bordo di una fiammante auto sportiva mentre, in compagnia di un amico, discute sì di caccia ma alludendo a ben altro tipo di “prede”. Il destino vuole che proprio questa corsa per le strade della città porti all’investimento della spaesata Rusalka. Mettendo un attimo da parte le incongruenze tra messa in scena e testo scritto, non possiamo fare a meno di notare come questa trovata, tra le altre, sia la più riuscita e quella che meno fa storcere il naso. Nel passaggio poi dal mondo animato al palcoscenico ciò è confermato dalla recitazione perfetta di Asmik Grigorian nel ruolo di Rusalka, Adam Smith in quello del principe e Andrey Zhilikhovsky in quello del cacciatore suo amico. I tre si muovono sulla scena con tale naturalezza e i loro gesti sono così ben dosati che si fondono armoniosamente con il tessuto musicale dvorakiano. E veniamo finalmente alle dolci note di questo allestimento: la musica e gli interpreti.
La musica che Dvorak ha scritto per quest’opera è meravigliosa e, sebbene sia stata concepita agli albori del XX secolo, risente profondamente della tradizione romantica e tardo-romantica: in essa grande risalto viene dato all’elemento fantastico e fiabesco, emergendo qui con straordinaria potenza espressiva arricchito in più dalle suggestive reminiscenze del folklore boemo. In questo senso il direttore musicale Dan Ettinger dimostra una profonda affinità con la partitura guidando i professori d’orchestra del San Carlo in una lettura che si distingue per la cura delle dinamiche e per la vivida caratterizzazione ritmica, sostenuta in particolare dalla sezione delle percussioni particolarmente brillante. Tuttavia, la necessità di assecondare le scelte drammaturgiche della regia costringe talvolta la direzione a sacrificare parte della forza espressiva insita nella scrittura orchestrale, perdendo in alcune scene quell’aura incantata più viva altrove.
L’incanto viene invece restituito in tutto il suo splendore dal soprano Asmik Grigorian, vera mattatrice della serata. La sua Rusalka convince pienamente sia sul piano interpretativo che su quello vocale. Dal punto di vista attoriale, l’artista dipinge con straordinaria sensibilità le diverse sfaccettature del personaggio: dalla ninfa tormentata da un amore impossibile alla creatura umana spaesata e intimorita nel “mondo” del principe, fino al momento di particolare intensità quando nel secondo atto rivela tutta la sua vulnerabilità e il timore dell’abbandono nella scena in cui indossa un costume da sirena – unico richiamo alla dimensione fiabesca originaria – prima del ballo in maschera (a questo proposito cogliamo l’occasione per sottolineare il lavoro di Elena Zaytseva nella cura dei costumi, in particolare quelli adoperati in questa scena che attingono con originalità all’immaginario della cultura pop e dell’animazione odierna in linea con lo spirito della scenografia). Ma è nella resa vocale che la Grigorian raggiunge vette di autentica eccellenza. Il soprano padroneggia con magistrale sicurezza l’intera tessitura della parte, gestendo con assoluta naturalezza tanto i passaggi più intimisti quanto quelli di maggiore potenza, modulando la voce con grazia e controllo impeccabili. La celebre aria dell’invocazione alla Luna (Měsíčku na nebi hlubokém) diventa nelle sue corde un momento di commovente dolcezza, emblematico di una prestazione che mantiene un eccelso livello invariato dall’inizio alla fine della rappresentazione. Altrettanto apprezzabile la prestazione del Gábor Bretz nel ruolo di Vodník: superata una iniziale titubanza vocale, il basso-baritono dispiega tutto il suo potenziale, impressionando per la solidità dell’emissione e per la forza interpretativa. La sua presenza scenica conferisce spessore e credibilità al personaggio trasformato, come detto, nell’irascibile allenatore di nuoto. Molto ben caratterizzata è anche la Ježibaba di Anita Rachvelishvili: il mezzosoprano affronta abilmente una partitura complessa, che richiede continui e non facili passaggi attraverso registri diversi. Nel ruolo del superficiale principe, il tenore Adam Smith offre una prestazione di pregio, sfoggiando una vocalità generalmente brillante e potente, sebbene con qualche lieve ombra nei passaggi di maggiore impegno. Convince pienamente il mezzosoprano Ekaterina Gubanova nel ruolo della principessa straniera, grazie a una voce cristallina e squillante. Ottime anche le prove del tenore Peter Hoare e del mezzosoprano Maria Riccarda Wesseling, nei ruoli rispettivamente del padre e della madre di Rusalka. Il baritono Andrey Zhilikhovsky, pur nel piccolo ruolo del cacciatore amico del principe, lascia il segno con una performance vocalmente e scenicamente incisiva. A completare il cast, le brave Julietta Aleksanyan, Iulia Maria Dan e Valentina Pluzhnikova nel ruolo rispettivamente di Prima, Seconda e Terza ninfa. Sempre una garanzia è poi il coro del Teatro diretto da Fabrizio Cassi, quando chiamato in causa, in particolare nella scena del ballo del secondo atto, ha risposto prontamente con una prova di alto livello e ineccepibile.
Tirando le conclusioni, al netto di scelte registiche e drammaturgiche, alcune fin troppo disinvolte e che non hanno sortito l’effetto desiderato (attirando anche qualche esternazione di disapprovazione proveniente dai palchi e dal loggione), l’allestimento di questa nuova produzione sancarliana tutto sommato funziona: ciò che talvolta si perde nella trasposizione scenica viene compensato dalla musica e viceversa. Il pubblico delle grandi occasioni, riunito in platea per questa serata (che era anche un evento mondano), sembra aver apprezzato lo spettacolo, come testimoniano i calorosi applausi rivolti sia al cast che al regista.
Repliche dello spettacolo sono previste il 26 novembre e il 3, 5 e 7 dicembre.