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Napoli, Teatro di San Carlo: Don Carlo

Napoli, Teatro di San Carlo Don Carlo - Ph Luciano Romano - recensione Opera Mundus
Napoli, Teatro di San Carlo - Don Carlo - Ph Luciano Romano - recensione Opera Mundus

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Dopo aver inaugurato lo scorso novembre con Rusalka, la stagione operistica del Teatro San Carlo di Napoli prosegue con un Don Carlo psicologico, introspettivo e molto cupo. Eccezionale il cast vocale, luci e ombre (metaforicamente ma anche letteralmente) sull’allestimento scenico.

Tra le varie versioni dell’opera che Giuseppe Verdi approntò in vita, il regista Claus Guth, che riprende la regia di Marcelo Persch-Buscaino, ha scelto di mettere in scena la versione modenese in 5 atti, rappresentata per la prima volta il 29 dicembre 1886 nella quale sono assenti i balletti: questi ultimi vennero scritti per la prima assoluta parigina dell’11 marzo 1867, quando l’opera debuttò come Don Carlos nella sua originale concezione di grand opéra francese, ma in cui è recuperato il primo atto comunemente tagliato nella versione italiana più spesso rappresentata al giorno d’oggi. La scelta di recuperare il primo atto, una sorta di prologo ambientato nella foresta di Fontainebleau, ha lo scopo di inquadrare meglio la triste vicenda del protagonista Don Carlo e la sua fragilità. Il sogno d’amore subito infranto getta infatti Don Carlo in uno stato di abbattimento e disperazione che lo accompagnerà per tutta la narrazione. In questo allestimento egli appare infatti poco eroico ma più romantico e sognatore (per usare le parole del regista), lo vediamo accasciarsi al suolo alla fine del primo atto, e sempre steso in terra lo vedremo all’inizio degli atti e dei quadri successivi, catapultato in luoghi e situazioni che non gli appartengono e schiacciato da esse. Secondo l’interpretazione del regista e della drammaturga Yvonne Gebauer, egli è il fulcro della narrazione, presente mentalmente anche quando non è effettivamente in scena. La scenografia curata da Etienne Plus sottolinea lo stato di reclusione del protagonista. In tutti e cinque gli atti, lo spazio scenico è una stanza opprimente che si trasforma di volta in volta: una cella (nel preludio del primo e dell’ultimo atto), i confini della foresta di Fontainebleau con alberi spogli, il chiostro del convento di San Giusto, la piazza o le stanze della regina e del re. Gli ambienti sono avvolti da penombre e luci soffuse, quasi spettrali, curate da Olaf Freese (riprese da Virginio Levrio). In questa atmosfera onirica e cupa, i personaggi si muovono come in un incubo, spesso trasognati. Perfino le loro vesti (preparate da Petra Reinhardt coadiuvata da Anna Verde) sono in prevalenza scure, con l’eccezione di Don Carlo che indossa invece una camicia bianca a sottolineare una volta di più la sua estraneità a quel mondo opprimente. Simbolo dell’oppressione è la figura del Grande Inquisitore, qui abbigliato interamente di nero e spogliato delle insegne religiose, in quanto raffigurante la rete del potere che avvinghia e costringe all’infelicità anche chi il potere ce l’ha, ovvero il re Filippo. Fin qui una lettura interessante e ben riuscita, viceversa convincono meno le proiezioni in bianco e nero che di tanto in tanto accompagnano i personaggi sulla scena: i giovani Don Carlo e Rodrigo, compagni di giochi e avventure e amici per la pelle fin da ragazzi ci vengono mostrati ogni qualvolta i due adulti interagiscono sul palcoscenico, come a suggellare la forza del loro legame e le sue radici profonde. Intendiamoci i filmati (realizzati da Roland Horvath) in sé non sono brutti, e bravi Michele Cricri e Lorenzo Mattia Moreschi rispettivamente nei panni di Don Carlo e Rodrigo ragazzi, ma sono proprio necessari? L’amicizia tra i due non è già ben evidente dai gesti e dalle parole che si scambiano? Maggior senso ha la proiezione di una donna velata in abito da sposa, che rappresenta invece il chiodo fisso di Don Carlo, il matrimonio sfumato con Elisabetta di Valois che da promessa sposa è diventata la sua matrigna. Lascia qualche perplessità anche l’onnipresenza di un giullare (interpretato da Fabián Augusto Gómez, peraltro bravissimo) che con i suoi travestimenti e la sua mimica rimarca con fare grottesco ogni avvenimento sulla scena. Lo stesso vale per gli altri mimi che, seppur meno presenti, arricchiscono i momenti salienti della narrazione con le coreografie curate da Evie Poaros. Spiace un po’ poi infine che la scena dell’auto da fé si concluda con la decapitazione un po’ buttata lì dei condannati, sebbene più coerente con l’atmosfera generale della messa in scena.

Parimenti alla regia anche la direzione di Henrik Nánási mette un po’ da parte il lato eroico della partitura privilegiando ora quello tetro, nelle scene più drammatiche o introspettive (in particolar modo nel preludio del primo e del secondo atto), ora quello più lirico, correndo il rischio in quest’ultimo caso di risultare talvolta troppo languido e perdendo anche parte di quella potenza espressiva, come ad esempio nell’introduzione al quarto atto. Al netto di questo l’orchestra del Teatro San Carlo regge benissimo le quasi quattro ore di musica, non lasciando alcuno spazio a sbavature o distrazioni ma anzi accompagnando sempre con grande equilibrio i cantanti in scena.

Veniamo ora al piatto veramente forte dell’allestimento: un cast vocale d’eccezione. Nel ruolo del titolo un eccellente Piero Pretti: il tenore è concentratissimo e intonatissimo, senza mai neppure un minimo segno di cedimento dalla prima all’ultima nota, la sua voce è potente e limpida, perfetta l’emissione vocale in tutti i frangenti e pieno controllo di tutti i registri. Particolarmente lodevole nei tre duetti con Elisabetta, nel primo, secondo e quinto atto. Inoltre recita benissimo la parte dell’innamorato inconsolabile e del derelitto: il Don Carlo di Pretti è veramente schiacciato da un destino impietoso.

Con la sua voce calda, pastosa e potentissima il basso John Relyea dà vita a un Filippo II austero e autoritario ma anche tormentato tra la ragion di Stato e la ragion del cuore, l’amore non corrisposto dalla moglie e la ribalderia del figlio lo gettano nella desolazione. Elementi ben evidenziati nel quarto atto, dove la figura del re ha maggior spazio, sia nel dialogo con il grande inquisitore sia nell’aria “Ella giammai m’amò”, uno dei momenti più sublimi dell’intero dramma e interpretata con magistrale espressività.

L’Elisabetta di Valois del soprano Rachel Willis-Sørensen è straordinaria per la qualità della proiezione e della potenza della voce, in particolar modo nel registro acuto. Da brividi la sua interpretazione di “Tu che le vanità” per la quale ha meritato l’applauso a scena aperta più lungo e caloroso.

Altrettanto bravo nei panni di Rodrigo è il baritono Gabriele Viviani, la sua voce è potente e chiara e non difetta in espressività. Meno squillante e più “prudente” è la voce di Varduhi Abrahamyan che interpreta la principessa Eboli. Il mezzosoprano fornisce una buona prova sebbene la sua voce sembri lievemente velata e trattenuta in particolare nel registro più acuto. Bravissimo è poi Giorgi Manoshvili nei panni del severo frate: il basso mostra piena sicurezza e controllo della voce. Lo stesso si può dire del basso Alexander Tsymbalyuk nei panni del grande inquisitore, ottima la prova del cantante sebbene la regia lo sacrifichi un po’, relegandolo quasi sempre ai margini della scena in una quasi totale immobilità. Completano il cast la bravissima Maria Knihnytska, che con la sua voce limpida e cristallina interpreta molto bene la parte di Tebaldo, Ivan Luardi nel conte di Lerma, Vasco Maria Vagnoli nei panni di un araldo reale, Désirée Giove (bellissima voce) che interpreta una voce dal cielo (in questo allestimento una visione mariana), e infine nel ruolo dei sei deputati fiamminghi Sebastià Serra, Yunho Kim, Maurizio Bove, Ignas Melnikas, Giovanni Impagliazzo e Antimo Dell’Omo.

Menzione speciale per il coro diretto da Fabrizio Cassi, come sempre eccellente e che in un’opera poderosa come il Don Carlo ha avuto ampiamente modo di mettere in mostra le sue qualità.

Repliche dello spettacolo sono previste fino al 31 gennaio.

19 gennaio 2025 – Don Carlo – Teatro di San Carlo

Opera in cinque atti
Musica di Giuseppe Verdi
Libretto di Joseph Méry e Camille du Locle, tratto dal dramma Don Carlos, Infant von Spanien di Friedrich Schiller
Traduzione italiana di Achille De Lauzières e Angelo Zanardini

CAST

Don Carlo di Claus Guth

Direttore | Henrik Nánási
Regista per la ripresa | Marcelo Persch-Buscaino
Scene | Etienne Pluss
Costumi | Petra Reinhardt
Luci | Olaf Freese riprese da Virginio Levrio
Video | Roland Horvath
Drammaturgia | Yvonne Gebauer
Coreografia dei mimi | Evie Poaros
Assistente ai costumi | Anna Verde

Interpreti
Filippo II | John Relyea
Don Carlo | Piero Pretti
Rodrigo | Gabriele Viviani
Il grande inquisitore | Alexander Tsymbalyuk
Un frate | Giorgi Manoshvili
Elisabetta di Valois | Rachel Willis-Sørensen
La principessa Eboli | Varduhi Abrahamyan
Tebaldo | Maria Knihnytska 
Il conte di Lerma | Ivan Lualdi 
Un araldo reale | Vasco Maria Vagnoli 
Una voce dal cielo | Désirée Giove 
Primo deputato  | Sebastià Serra 
Secondo deputato | Yunho Kim 
Terzo deputato | Maurizio Bove 
Quarto deputato  | Ignas Melnikas 
Quinto deputato | Giovanni Impagliazzo
Sesto deputato | Antimo Dell’Omo
Il giullare (attore) | Fabián Augusto Gómez
Don Carlo ragazzo  | Michele Cricri
Rodrigo ragazzo | Lorenzo Mattia Moreschi

Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
Maestro del Coro | Fabrizio Cassi

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Antonio De Benedittis

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