Grande successo a Bologna per l’ultima rappresentazione di “Pagliacci”, opera conclusiva della Stagione 2024 del Teatro Comunale Nouveau. Trionfo per Gregory Kunde, mattatore indiscusso, e per un cast di ottimo livello.
Ci perdonerà Puccini se nel giorno del suo compleanno abbiamo scelto di andare a Bologna per la rappresentazione di “Pagliacci” di Ruggero Leoncavallo, suo contemporaneo e tutt’altro che amico, ma la “colpa” di ciò è attribuirsi ad una produzione tanto attraente quanto riuscita ad opera del Comunale di Bologna.
L’occasione è la ripresa, per la chiusura della Stagione 2024, di un allestimento prodotto nel 2019 con la regia di Serena Sinigaglia e al tempo pensato per essere messo in scena insieme a “Cavalleria Rusticana” di Mascagni (a cura di Emma Dante). Oggi oltre ad essere cambiato il luogo, ci troviamo nel momentaneo Comunale Nouveau a causa dei lunghi restauri della Sala storica, si sceglie di offrire al pubblico unicamente “Pagliacci”, costringendo a ripensare in parte uno spettacolo che era stato costruito in maniera complementare all’altro, quasi senza soluzione di continuità. L’idea di Serena Sinigaglia, credibile e ben realizzata, gioca sul tema del “teatro nel teatro” e del rapporto tra finzione e realtà, tanto centrale quanto dibattuto quando si parla di quest’opera, un’antesignana di quanto vedremo più avanti con Pirandello. Ecco dunque che assistiamo ad una sorta di sottolineatura del meccanismo teatrale di finzione nel momento iniziale del Prologo, dove chi lo impersonifica abbatte la barriera con il pubblico rivolgendosi ad esso direttamente, fuori dalle vicende che si stanno per svelare. Lo fa mentre dietro di lui si muovono tecnici e macchinisti che montano in maniera modulare i vari pezzi che comporranno la scenografia dell’opera. La regia si mette dunque a nudo e ci rende partecipi della messa in scena di un gioco, il teatro, che serve a raccontare e ad interpretare la realtà, la verità. Metateatro. La forza immaginifica ed evocativa del teatro in cui ciò che accade è finto e vero al tempo stesso, come gli stessi personaggi mostreranno nello sviluppo delle vicende nel secondo atto.
Le scenografie, modulari, sono di Maria Spazzi e ben si adattano allo spazio di questo teatro, ove è impossibile lavorare in verticalità. Prati incolti e seccati dal sole che ci riportano nelle periferie del Meridione, un palchetto in legno improvvisato come scena per la sgarrupata compagnia di teatranti, fanno da cornice allo sviluppo della trama. Convincente il lavoro sui personaggi e sulle masse, così come la presenza perfettamente inserita degli ottimi attori e figuranti di cui riteniamo giusto riportare i nomi: Paolo dei Giudici, Giulia Sarah Alessandra Gibbon, Fabrizio Corona, Riccardo Dell’Era, Daniele Palumbo, Lorenza Rogna. Uno spettacolo, quello di Sinigaglia, che si contraddistingue anche per gli efficaci costumi di Carla Teti e per le luminose e calde luci di Claudio De Pace, che contribuiscono in maniera evocativa a calarci nel giusto scenario.
Di assoluto livello la direzione musicale di Daniel Oren, alla guida dell’Orchestra del Teatro Comunale, dell’eccellente Coro, preparato da Gea Garatti Ansini, e delle Voci Bianche di Alhambra Superchi. La sua è una interpretazione come da sua tradizione particolarmente incline a sottolineare passioni e sentimenti con sonorità voluminose e ad enfatizzare (senza pero’ eccessi o volgarità) dinamiche e ritmi. Pagliacci è un’opera di contrasti, in cui tutto si trasforma e si mescola in sdoppiamenti, corrispondenze, incastri; un’opera in cui una stessa realtà può essere vista da due lati opposti e coesistenti e tutti questi elementi li ritroviamo anche nella partitura musicale che evidenzia, con stili ed elementi ben diversi, commedia, tragedia, realtà, finzione. Tutte caratteristiche che il M° Oren ambisce a trasmettere a chi esegue ma soprattutto a chi ascolta.
Positivo il contributo generale di tutto il cast, a partire dall’autentico mattatore della serata, Canio/Pagliaccio, il tenore Gregory Kunde, che all’alba dei 71 anni continua ad incantarci e lasciarci senza parole per lo stato smagliante di forma vocale, specialmente nel registro superiore. Il timbro è chiaro e nitido, l’emissione sicura e ben proiettata, la voce non mostra segni di cedimento né nello smalto, né nel sostegno di un fiato retto su una tecnica ferrea che gli consente agilmente di superare le difficoltà che la parte presenta nel passaggio tra i registri. Ma di una buona voce in forma ce ne faremmo poco in un’opera simile se non vi fosse l’interpretazione. Ed è qui che Kunde costruisce il proprio successo, ovvero nella straordinaria capacità di far venire i brividi con un canto sempre volto ad emozionare e a portarci dritti nel cuore i tormenti e i contrasti di un personaggio che è sì carnefice ma prima ancora vittima di una solitudine esistenziale che lo aliena e lo acceca. Inutile quasi dire che “Vesti la Giubba” abbia fatto venir giù il teatro per l’intensità sprigionata, pur senza la concessione di un bis.
Di grande espressività, splendida per mezzi vocali e per la capacità di usarli ai fini dell’interpretazione è poi Mariangela Sicilia, Nedda/Colombina. Il soprano che ben conosciamo per l’estrema duttilità con cui ha restituito in più occasioni al pubblico bolognese memorabili performance in ruoli pucciniani, risulta estremamente credibile anche qui, tanto delicatamente innamorata di Silvio e sofferente nel suo destino, quanto determinata nel proprio odio verso Tonio.
Tonio/Taddeo, dicevamo, i cui panni sono vestiti da Claudio Sgura in sostituzione dell’annunciato Luca Salsi. Un personaggio complesso e mutevole che si configura come il vero macchinatore delle vicende. Sgura ci pare sicuramente più a proprio agio in questo repertorio rispetto al suo recente Ezio nell’Attila a Fidenza, dipanandosi in una interpretazione anche attoriale variegata e ben centrata sulla spregiudicatezza del personaggio Peccato si sia caduti nella sbagliata tradizione di non affidare a lui, come Leoncavallo scrisse, la sentenza finale “La commedia è finita”. Sul lato più strettamente musicale, tuttavia, la voce di Sgura non risulta sempre ben udibile e proiettata in sala, cosa che invece avviene in maniera perfetta con il Silvio di Mario Cassi, davvero brillante vocalmente, grazie ad uno strumento argenteo e avvolgente e a ottime capacità sceniche. Altra sorpresa positiva è infine Paolo Antognetti, un Beppe/Arlecchino che si destreggia con scioltezza nel canto e un bel timbro risonante.
Caloroso successo per l’intera compagnia, con vere e proprie ovazioni colme di ammirazione per Gregory Kunde al termine della rappresentazione.