Benvenuto Ivàn, la prima domanda che vorrei porti riguarda la tua cultura d’origine, la cultura peruviana che notoriamente si identifica per la ricchezza ed eterogeneità dei suoi caratteri folkloristici.
Quali sono i caratteri tradizionali che ti identificano e che pensi abbiano influito nell’artista che sei oggi?
“La danza è l’aspetto della cultura peruviana che più ha influito nel mio percorso artistico, il motivo è semplice: mi ha donato la capacità di saper stare in palcoscenico, di sentirmi libero e consapevole nei movimenti, di saper dar vita a pensieri ed emozioni attraverso gesti ed intenzioni.
In particolare, con uno specifico stile di danza, la Marinera Norteña che ho approcciato a livello professionale, ho imparato a saper stare in palco da solo ma anche in simbiosi con un partner.”
Nel tuo curriculum appare una formazione internazionale, hai intrapreso gli studi presso il Conservatorio Nazionale di Musica del Perù e ti sei successivamente perfezionato con Juan Diego Florez, Ernesto Palacio, Vincenzo Scalera, Maurizio Colaccichi, Luigi Alva e ti sei trasferito in Italia dove attualmente studi con Roberto Servile.
Cosa hai imparato da grandi nomi della lirica internazionale come questi? Mi spiego meglio, non intendo solamente a livello tecnico ma bensì a livello umano e nell’approccio alla musica.
“La capacità di saper gestire la pressione ed il saper leggere ed affrontare il non facile mondo professionale della musica. Certo, non più complesso di altri, ma con aspetti fuori dal comune e delle sue caratteristiche.
Su questo versante Roberto Servile è stata una grande scuola per me, un vero Maestro. Non solo a livello tecnico ed artistico, ma come esempio umano di marito ed insegnante; Lui stesso ha lavorato con grandi nomi come Pavarotti, la Freni e molti altri, spesso mi ha raccontato come si relazionava con i colleghi e con la professione.”
Dal momento del tuo primo debutto nei panni di Rodolfo ne La Bohème al Teatro Regio di Torino hai intrapreso un percorso di carriera che ti ha portato nei più prestigiosi palchi come Vienna, Milano, Tokyo, Firenze, Venezia e molti altri. Ovviamente da spettatori vediamo il susseguirsi dei tuoi successi ma immagino che non sia sempre stato tutto lineare.
Quali difficoltà hai riscontrato nel percorso e come hai affrontato quei momenti?
“La solitudine è la difficoltà più grande che ho dovuto affrontare fin da subito, dal momento in cui mi sono trasferito in Italia per studiare. La solitudine e la nostalgia derivante dall’essere artista e quindi essere in una condizione di profonda connessione con i sentimenti veri e nudi che la musica può e deve risvegliare in noi, il nostro mondo introspettivo.
Ho affrontato questi momenti stringendomi alla mia famiglia e alla mia partner. Anche avere un percorso psicologico, un percorso di terapia può servire per imparare a modellarsi di fronte a queste difficoltà.”
In una precedente intervista parli del ruolo della fortuna specificando: “la fortuna ti aiuta ma devi essere pronto ad accoglierla” riferendoti giustamente allo studio, per poi aggiungere che, quando si è giovani, è possibile non ottenere la fiducia di chi ascolta sin da subito.
Quale consiglio ti senti di dare ad un giovane cantante all’inizio del proprio percorso? Quale consiglio a chi li ascolta?
“Il più grande consiglio è: studiare. Ma soprattutto non fermarsi di studiare quando si inizia ad avere successo. Tempo fa vidi un’intervista di Beniamino Gigli poco prima del suo ritiro all’Opera di Roma, gli chiesero quando aveva finito di studiare e lui rispose:” cinque minuti fa”.
È fondamentale avere un insegnante che sappia ascoltare, che ti incoraggi ma che non faccia troppi complimenti. Troppi complimenti non vanno mai bene, gli adulatori fanno male, è facile perdere la strada. Ho sentito spesso giovani cantanti essere presentati come il nuovo o la nuova “..”, per poi alla fine non concludere a nulla.
A chi ascolta vorrei consigliare di non fidarsi solo del gusto ma di essere obiettivi, questo vale per gli appassionati d’Opera come per i Direttori Artistici dei Teatri. Un giovane deve avere la possibilità di mostrare le proprie capacità aldilà del gusto personale.”
Tra i ruoli in cui hai riscontrato più successi ci sono il Duca nel Rigoletto, e appunto Rodolfo ne La Bohème.
Ci sono delle caratteristiche di questi due personaggi con cui empatizzi fortemente ed altri con cui ti senti in dissonanza?
“Beh, ma io sono stato un Bohémienne! Anche io ho iniziato a far musica senza sapere se domani sarebbe stata la mia strada e se sarei riuscito a “mangiare”, ricordo bene quelli anni e sono stati preziosi, esperienze di vita che porterò con me sempre. Mi rivedo in Rodolfo e trovo molto di me in lui. Diverso invece il discorso con il Duca:
“Vengo da una famiglia dove il capo era mia Nonna!”
Sono stato cresciuto da una donna molto forte in una famiglia femminista, dove l’uomo lavora ma le decisioni le prende la donna. Forse mi rivedo in qualche aspetto legato alla leggerezza della gioventù ma nulla di più.”
Nel 2021 partecipi al prestigioso Concorso Operalia vincendo il Primo Premio ed il Premio del Pubblico con l’Aria Tutto parea sorridere da Il Corsaro. Personalmente trovo che ci sia una forte affinità con la scrittura del repertorio verdiano, il tuo timbro naturalmente morbido e rotondo riesce ad esprimere le parti dal lirismo immacolato ma anche gli accenti più drammatici attraverso un intelligente utilizzo della parola.
Quali sono le sfide della scrittura vocale verdiana e gli elementi espressivi fondamentali?
“Una delle fortune più grandi è la capacità di poter cantare Verdi, che è sempre una grande sfida. Ho appena terminato di incidere Gabriele Adorno del Simon Boccanegra, l’edizione del 1857 (la prima) con la Discografica Opera Rara. Si sbaglia a parlare di Verismo da un certo punto in poi della Storia dell’Opera, non solo le Opera di Cilea, Giordano propongo quel tipo di Verità, Verdi la proponeva già molto prima.
Si parla di accenti, di parola verdiana ma cosa vuol dire? Vuol dire saper dare la giusta importanza alle consonanti, soprattutto nel levare, cantando come se fossero una carezza per le corde vocali. Utilizzare il raddoppio sintattico in ogni parola principale della frase è fondamentale per scivolare nel canto ed ottenere il legato verdiano, questo è l’accento che Verdi voleva e che le sue Opere richiedono.”
Quasi subito dopo la vittoria ad Operalia, il tuo viaggio artistico si è arricchito sempre di più vantando di nuove produzioni e debutti prestigiosi, tra questi l’apertura di Stagione al Teatro La Scala nel Macbeth diretto da Chailly e la regia di Livermore, accanto Salsi, Abdrazakov, Netrebko, Meli.
Quali sono le sensazioni ed emozioni che accompagnano questo tipo di debutto? Come gestisci ed affronti la fase di preparazione vocale, psicologica e fisica?
“Affronto ogni mio impegno con la stessa energia, sia che io sia in un piccolo Teatro o in un grande Teatro, è una questione di rispetto per il pubblico, del compositore e della musica.
Certo, debuttare a La Scala di fianco a grandi nomi e successivamente a Sidney, Vienna, Venezia è stato emozionante e sono emozioni uniche, ma cerco di studiare, prepararmi e performare sempre con la stessa dedizione indipendentemente dal luogo.”
C’è ad oggi un Direttore e/o Regista con la quale hai creato un rapporto lavorativo simbiotico e che pensi abbia/no influenzato in meglio l’artista che sei oggi?
“C’è un regista con cui ho instaurato un profondo legame professionale ma anche personale, ed è Damiano Michieletto. Ho collaborato con lui in nove produzioni ed abbiamo creato dei personaggi con grande rispetto e comprensione l’uno per l’altro, in particolare il Duca del Rigoletto. Tra noi c’è sempre stata una comunicazione fluente e chiara.
Dal punto di vista musicale, indubbiamente il Maestro Oren per cui ho una grande ammirazione professionale e con cui condivido l’idea di come si fa musica e come si interpreta un ruolo.“
Sbirciando sui tuoi profili social si nota una passione prorompente per il calcio ed una squadra in particolare.
C’è un atleta che ammiri particolarmente e a cui ti ispiri? Per quale motivo? Se fossi calciatore che ruolo avresti in campo?
“Eh se parliamo di calcio non finiamo più! (ride). Fin da piccolo sono stato tifoso della squadra Universitario De Portes in Perù e poi c’è stato l’amore a prima vista con la Juventus, la mia squadra del cuore. Cristiano Ronaldo è l’atleta che ammiro di più, non tanto per quello che ha ma per come lo ha ottenuto: ha fatto del talento una virtù. Io non ho avuto la fortuna di nascere virtuoso ma con una predisposizione, un talento che definirei normale, ma parte del nostro lavoro è far diventare quel talento in virtù che non è altro che talento più studio.
Se tu non fai nulla per il tuo talento rimane solo un talento. Ci vuole dedizione. Il ruolo che avrei in campo è il difensore, lo dico sempre quando gioco: passa la palla ma non passa il giocatore!! “
“Non ho avuto la fortuna di nascere virtuoso ma con una predisposizione”
Se potessi scegliere di cambiare le dinamiche di un’Opera ed eventualmente anche le sorti dei personaggi, cosa e come cambieresti?
“Sia in Bohème che ne La Traviata avrei attinto di più dai libri, so che è un sacrilegio perché sono già perfette così ma avrei preferito maggiore aderenza con le fonti.
Poi ovviamente avrei voluto che Carmen ammazzasse Don Josè, il Duca avrebbe meritato una fine crudele mentre avrei voluto salvare Gilda.”
Il cantante è al servizio del compositore o è la musica ad essere un mezzo di espressione del genio artistico del cantante?
“Entrambe.
Non siamo supereroi, siamo strumentisti e non abbiamo il diritto di alterare quello che i compositori hanno scritto, ma contemporaneamente dobbiamo trovare la libertà. Attenzione, non prenderci la libertà, ma trovarla, decifrarla nello spartito e farla diventare il nostro spazio personale attraverso la nostra capacità e sensibilità. Ci vuole molto rispetto per l’autore ed anche per il pubblico.”