Con il dittico IL SEGRETO DI SUSANNA sulle musiche di Wolf-Ferrari e libretto di Golisciani e GIANNI SCHICCHI inserito nelle celebrazioni di Puccini e libretto di Forzano, si chiude la stagione lirica al Teatro Sociale di Rovigo che ha messo in scena con orgoglio qualitativo le 8 fatiche del giovane e capace Edoardo Bottacin neo Direttore Artistico del teatro rodigino, il quale dà ottima prova alla sua prima investitura nel teatro di tradizione.
Ne Il Segreto di Susanna la giocosa commedia vede la giovane moglie di Gil nascondere il suo vizio ceduto al tabagismo al geloso marito che scambia per tradimento le sue ritrosie. Il fine è lieto e nessuno smette di fumare.
Di Gianni Schicchi sappiamo: vivaci siparietti in un unico quadro nel quale la sostituzione della salma del fiorentino Buoso Donati da parte dei parenti avidi della sua eredità, spinge ad un inganno – temuto punibile per legge – che l’astuto stratagemma di Schicchi trasforma in inganno a sua volta a favore dell’amore dei due giovani (Lauretta e Rinuccio) osteggiati dalle rispettive famiglie.
Inusuale e piacevole la prima opera in breve atto unico ed elegante, intrigante e godibile la seconda. Tutte e due hanno in comune il progetto innovativo fortemente voluto da Bottacin, che vede la sinergia tra strumentisti d’orchestra, con il coinvolgimento dell’Orchestra regionale Filarmonia Veneta, ed i giovani del conservatorio statale di Rovigo Francesco Venezze. Anche nel cast a fianco di artisti di consolidata statura come Biagio Pizzuti,
i “giovani artisti selezionati da altri enti di formazione in un’ottica di scambio di valore e formazione diretta in palcoscenico tra diverse generazioni. (cit.)
”Prova musicale non facile per i giovani allievi del conservatorio, soprattutto nella complessa partitura de “Il segreto di Susanna” rispetto allo Schicchi, ma il direttore d’orchestra – Elisabetta Maschio – amalgama e coinvolge con bravura ogni elemento espressivo degli strumenti.
Altro bel risultato di questa stagione di tradizione nel suo insieme, è la realizzazione “made in Teatro Sociale di Rovigo” dei rinati laboratori scenografici e sartoriali. Anche in questo titolo sono apprezzabili e davvero eleganti le ambientazioni ed i costumi previsti dalla regista Anna Cuocolo. Le ampie vetrate, il patio verdeggiante all’esterno, i dettagli di squisito richiamo liberty degli interni e degli abiti nei quali i protagonisti si muovono in una sorta di cromatico tableau vivant. Nella doppia veste di Gil e Gianni Schicchi, il bravo baritono Biagio Pizzuti è a suo agio: ha voce morbida, brunita, esperte tessiture ed azzeccate e godibili espressività teatrali nella resa dei personaggi. Debora Solange è vezzosa ed ha le phisique du rôle sia per il ruolo di Susanna che di Lauretta, forse la voce di soprano leggero è un po’ troppo sottile e fatica in più di un momento a emergere rispetto all’orchestra; il suo “O mio babbino caro” però è sicuro, con agili colorature e giunge al pubblico in bella emissione. Tra le voci da sottolineare il tenore Matteo Mezzaro (Rinuccio), spinte d’acuti ben sostenute, ottima resa vocale. Altro giovane tenore è Matteo Urbani, un Gherardo di voce che merita attenzione nel prossimo futuro che lo aspetta. Bene la cugina Zita, il contralto Valeria Girardello che compensa qualche copertura di voce con la buona presenza scenica, mentre per altri giovani parenti, interpreti di origini orientali, il canto c’è, ma il fraseggio pecca di inflessioni linguistiche marcate che lo studio appianerà. La produzione è davvero riuscita nell’intento di chiudere questa pregevole stagione lirica lasciando il desiderio che presto ricominci la prossima già in progress.
Nota di segnalazione per un misunderstanding dell’ultima rappresentazione accaduta domenica 21 aprile: c’è stato un impercettibile stupore per la scelta della regia che ha involontariamente rappresentato il rigor mortis di Buoso Donati e camuffato dai due parenti che lo sorreggevano, in un nostalgico saluto di un ventennio da dimenticare. Personalmente ho interpretato il gesto più riferito alla minaccia del moncherino brandito da Schicchi, nel libretto di Forzano, quale monito della pena del taglio della mano e l’esilio che spetta a chi inganna la legge con sostituzione di salme (Addio Firenze, addio cielo divino) che una connotazione politica fuor di contesto.
Mah! Resta che credo di più alle buone intenzioni della regia anche se, in questo periodo, sarebbe stata utile un po’ più di attenzione. E chiudo.