Al Comunale Nouveau di Bologna va in scena una nuova produzione di Macbeth, sotto la direzione appassionata di Daniel Oren e la regia sottotono di Jacopo Gassmann.
“Un lungo viaggio, quello di un uomo in particolare – e di una donna – alle radici del male, l’inabissamento progressivo di una coscienza, di uno sguardo nel grande e inesplorato territorio del rimosso”,
è questa l’idea che ha ispirato Jacopo Gassmann nella sua regia di questa nuova produzione di Macbeth. Un concetto sviluppato in maniera pertinente e credibile nelle note riportate sul libretto di sala ma che, come spesso accade, si è tradotto in realtà lasciando non pochi dubbi in chi scrive e non solo.
L’intero impianto scenografico (scene di Gregorio Zurla) e registico ruotava attorno ad una concettualità essenziale che volendo esplorare il pur valido tema del “rimosso”, ha finito per appiattire lo spettacolo in un vuoto desolante composto quasi solo di sipari che si aprivano e chiudevano, in cui i personaggi si muovevano non sempre con una logica chiara e dove lo sforzo di immaginazione richiesto al pubblico in duelli, fughe e altri momenti salienti, finiva per trasformarsi in uno statico e soporifero immobilismo di difficile comprensione per un potenziale neofita e di scarso appeal per un appassionato. Un Macbeth che potremmo quindi definire “mesto”, in cui le buone intenzioni hanno finito per fare male più che bene alla drammaturgia. Tra le poche note di colore si segnalavano le luci di Gianni Staropoli mentre a poco hanno contribuito i video di Marco Grassivaro e i costumi di Gianluca Sbicca.
Venuto meno il sangue, il “mordente” che ci si aspetterebbe (a prescindere dal livello di simbolismo o di distacco da una presunta ambientazione originaria) a livello visivo/recitativo, è rimasta la parte musicale a salvare e rendere godibile questo Macbeth bolognese. A partire dalla sontuosa direzione di Daniel Oren, lui sì pervaso come sempre da una passione sanguigna e viscerale, capace di trasmettere innumerevoli sfumature all’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna in una lettura profonda e ispirata, in cui ogni dinamica ritmica e di colore risplendeva in funzione del Teatro (con la t volutamente maiuscola). Tormenti, angosce, dolori, delirio ma anche orgoglio, passione, intimità e fuoco, in un caleidoscopio ogni emozione è arrivata dritta alle orecchie e al cuore attraverso una interpretazione “tutta d’un fiato”.
Ottimo, va detto, anche il Coro del Comunale, preparato da Gea Garatti Ansini (e le voci bianche da Alhambra Superchi), che hanno saputo collimare appieno in concerto con l’orchestra, verso la cifra espressiva richiesta da Oren.
La parte vocale ha visto distinguersi un ottimo Roman Burdenko nei panni del protagonista, una voce di buon volume e dal fraseggio pertinente, che ha disegnato un Macbeth credibile nella sua evoluzione psicologica. Altrettanto padrone del proprio ruolo è stato Riccardo Fassi come Banco, mentre un po’ meno, ma non per “colpa” sua ci è sembrata esserlo Daniela Schillaci, come Lady. Se la sua prova è stata, a nostro giudizio, più che convincente per fraseggio, espressività e canto, è il timbro della voce che ci è parso non propriamente adatto a questo tipo di ruolo, per il quale Verdi stesso ammise di pretendere un suono più “sporco” e drammatico.
Impeccabile il Macduff di Antonio Poli, tenore ormai esperto in questo breve ma pur importante ruolo. Poli ha fatto sfoggio di sicurezza tecnica, un timbro caldo e luminoso in ogni registro e una convincente resa del personaggio sotto ogni punto di vista.
Per quanto riguarda i restanti interpreti, nessuno di loro ha sfigurato, a partire da Marco Miglietta (Malcolm), alla dama Anna Cimmarrusti, fino a Kwangsik Park (medico) e Gabriele Ribis nelle parti del domestico, sicario e araldo.
Al termine di questa rappresentazione l’intero cast è stato omaggiato di generosi ed lunghi applausi, a cui ci siamo uniti con convinzione per quanto concerne il lato musicale, mentre qualche dubbio in più ci è rimasto su quello registico.