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Venezia – Teatro La Fenice: Mefistofele

Venezia - Teatro La Fenice: Mefistofele © Michele Crosera

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C’era un Faust di Goethe, un Faust di Gounod, il dottor Faust di Marlowe, perfino Otello un po’ lo è.
Per non parlare della figura faustiana nel dramma classico, nel cinema o nella letteratura. Allora perché l’ambizioso, a tratti pomposo, e scapigliato Arrigo Boito – che sceglie Mefistofele come personaggio principale da rappresentare con il suo Faust- viene proposto dal Gran Teatro La Fenice dopo oltre cinquant’anni dalla sua messa in scena veneziana?
Perché la contrastata e dicotomica lotta tra le forze del bene o del male, tra il Divino ed il Maligno, sono eterne, senza tempo. Come nelle poesia di Else Lasker-Schueler, due anime a metà, costantemente antagoniste in una genesi per il raggiungimento della perfezione del cosmo dal quale provengono. L’una senza l’altra non esisterebbe e la loro sopravvivenza (che per ossimoro passa attraverso la morte) sono eternamente destinate alla ricerca rispettivamente di un paradiso o di una terra perduti.
In questa scelta La Fenice è coraggiosa e lo fa perché forte di una produzione che ha del geniale e degna di restare come contemporanea traccia di interpretazione di questo melodramma operistico.
Gli elementi, quasi perfetti, ci sono tutti.

La straordinaria regia di Moshe Leiser (sue anche le impattanti scene) e Patrice Caurier che calano nella realtà quotidiana la rappresentazione dei nuovi miti dell’adorazione blasfema e grottesca ai quali l’umanità aspira: il potere, il sesso, la guerra, il tifo calcistico esasperato (inginocchiati e adoranti davanti alla coppa), i riti e le danze degli orgiastici Sabba come indemoniati rave party sballati (Riddiamo! Riddiamo! Che il mondo è caduto!… ), le dosi di droga iniettate da Mefistofele al Faust in cerca di oblio e piacere (pur ch’io distenda questo mantel noi viaggeremo sull’aria.) . Il tutto ambientato in una sorta di degradata suburra metropolitana che riporta alle scene opprimenti di “Black rain” di Ridley Scott e altro non è che un teatro vuoto di contenuti e cultura da bruciare (la scena del soffitto della Fenice che si incendia è da accapponare la pelle!).
E c’è un’orchestra di bravi maestri diretta in modo straordinario da Nicola Luisotti. Il Maestro esalta la partitura che diventa voce anch’essa: parla, conversa e trasporta a capire che la bellezza, l’arte e la musica ci salveranno così come salva Faust nel rinnegare Mefistofele.
Tra gli elementi perfetti c’è il coro del Teatro guidato da Alfonso Caiani. Nel prologo, nei quattro atti e nell’epilogo ha una presenza determinante ed è bellissimo perché notevoli sono i momenti corali e coreutici di grande agilità. Ben inseriti e ben preparati da Diana D’Alessio anche i Piccoli Cantori Veneziani, celesti angioletti a tutti gli effetti. Altissima prestazione, chapeau!.

Ed ora le voci.

Il basso Alex Esposito è un Mefistofele superlativo, non ci sono altre parole per definirlo. La sua voce è potente, ha un timbro straordinario, ha colore luciferino ed esalta un fraseggio chiarissimo. Il magnetismo della sua interpretazione è esaltato da una presenza scenica di rara espressività. Suadente come una serpe, ammaliante come un’amante, osceno e seducente (la doccia completamente nudo – nel prologo – coglie di sorpresa un teatro di tradizione, ma ha un suo perché). Canta e tesse le sue spire muovendosi come un demoniaco Gollum senza mai perdere una sola presa di fiato (Su … questa razza stolta e pazza, fra le borie, le baldorie, ride, esulta, gaia, inulta, ricca, tronfia, gonfia, gonfia, nel fangoso globo immondo del reo mondo… È inquietante) e quando sconfitto alla fine del quarto atto, punta la pistola su Nicola Luisotti, il pubblico ha davvero temuto e trattenuto il respiro.
Faust, Piero Pretti, è giusto per la parte che esige impegno e sforzo notevoli ad un tenore. Tiene senza fatica passaggi repentini, ha voce piena e calda, agile nel registro di partitura che lo richiede timoroso a volte (In voi, messeri, il nome ha tal virtù che rivela l’essenza. Dimmi or su, chi sei tu dunque?) spavaldo in altre (Se avvien ch’io dica all’attimo fuggente: arrestati, sei bello! Allor ch’io muoia! Allor son tuo) o amorevole Enrico (Dalle labbra imporporate spandi accento sovruman..).Anche la presenza scenica è da attore d’esperienza qual è, e si trasforma da vecchio a giovane e viceversa in assoluta disinvoltura.
Maria Agresta – Margherita – ha riconosciute agilità ed è ricca di colorature che emergono nelle loro qualità spinte soprattutto dal terzo atto ( L’altra notte in fondo al mare il mio bimbo hanno gettato,…).Ha timbri di cristallina delicatezza (Lontano, lontano, lontano, sui flutti d’un ampio oceano…) e di struggente espressività (Spunta l’aurora pallida…).
Bene i ruoli comprimari come Elena (Maria Teresa Leva), Marta/Pantalis ( Kamelia Kader) e Wagner (Enrico Casari) che contribuiscono a completare un cast esemplare.
Ballerini, coreografie, costumi e video designer sono da citare per un Mefistofele che si farà ricordare.
C’è un tripudio finale in standing ovation con applausi generosi ed interminabili che tributano a tutti l’esatta percezione di un Boito da riscoprire, di un’opera da riproporre, di un melodramma da non perdere.

Venezia – Teatro La fenice: Mefistofele – 14 aprile 2024

Musica di Arrigo Boito

Nuovo allestimento Teatro La Fenice

CAST

Orchestra e Coro del Teatro La Fenice

direttore Nicola Luisotti

maestro del Coro Alfonso Caiani

 

coro voci bianche Piccoli Cantori Veneziani

maestro del Coro Diana D’Alessio

altro maestro del Coro Zoya Tukhmanova

 

regia Moshe Leiser e Patrice Caurier

scene Moshe Leiser

costumi Agostino Cavalca

light designer Christophe Forey

video designer Etienne Guiol

coreografia Beate Vollack

 

Mefistofele Alex Esposito

Faust Piero Pretti

Margherita Maria Agresta, Marta Torbidoni (20/4)

Marta/Pantalis Kamelia Kader

Elena Maria Teresa Leva

Wagner/Nereo Enrico Casari

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Chiara Casarin

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