E’ proprio nel giorno della festa degli innamorati, San Valentino, che va in scena al Teatro Sociale di Rovigo una storia d’amore tossico intriso di sospetti, cieche gelosie, inganni, vendette e l’odio – anche razziale – tesse laidi tradimenti da sicofanti amicizie. Quasi un monito di quello che l’amore non è e non dev’essere.
La tragedia verdiana dell’Otello, su libretto di Arrigo Boito, parte dalla drammaturgia shakespeariana ma da essa si affranca per molti aspetti sia temporali per i secoli che li dividono, sia per lettura del contesto storico che si è evoluto in altre chiavi di lettura. Ma moralmente si legano con la stessa forza e potenza espressiva dell’umano limite e delle sue spesso nefaste debolezze.
Lo scarno allestimento di Domenico Franchi accompagna la suggestione dei quattro atti attraverso pannelli semoventi color rame ossidato come pareti claustrofobiche che imprigionano la mente ed i fondali hanno squarci ora a simboleggiare l’azzurro del mare, ora porpora di sanguigna passione sui quali domina l’ologramma lacerato di un volto dannato. Nell’ultimo atto il talamo nuziale si staglia isolato come un altare nel mègaron del palazzo presagio della tomba nella quale si trasformerà alla fine del dramma.
Sono le lucentezze dell’ossidiana cipriota ed i colori di spezia dei tessuti e costumi di Artemio Cabassi, a legare in simbiosi una Cipro defraudata dalle sue influenze dell’Egeo medio-orientale e mediterranee a seguito della conquista veneziana dello “Stato da mar” prima che i turchi ne avessero su tutti – un secolo dopo – il sopravvento. Le luci di Fiammetta Baldiserri esaltano sapientemente i focus che devono attrarre l’attenzione scenica richiesta dalla regia rispettosa e prudente se pur di pathos efficace di Italo Nunziata.
Otello ha il phisique du rôle di Roberto Aronica ed il tenore torna ad impersonare il Moro di Venezia pittando di scuro la faccia e così svincolato dagli ultimi radicali dettami anglosassoni del “politically correct” che hanno bandito al sacrificio dell’ideologia il “black-face”.
Aronica, come si diceva, ha il fisico, non sempre così la voce che la parte difficile esige. L’emissione è sì, sempre potente ed il timbro di natura veemente, ma a partire dall“Esultate!” già spigoloso e gridato, la spinta impennata e costante di ogni attacco è disomogenea, monocromatica e resa forzosa a scapito dei delicati e fluidi cambi di colori come in “Dio mi potevi scagliar”.
Veste i panni di Desdemona Iwona Sobotka: in scena è sicura e di femminile dolcezza nel suo perorare la causa a difesa di Cassio senza concedere chiavi interpretative di sottomissione ad Otello anche quando egli manifesta i primi ingiustificati scatti d’ira sospetta. Il soprano ha voce plasmata in modo armonioso in ogni passaggio importante. Nella Canzone del salice e nell’Ave Maria c’è del virtuosismo nei morbidi legati e l’equilibrio risulta sapientemente dosato tra le sfumature acute, drammatiche, liriche ed il fraseggio di buona scuola nei piani, pianissimi e nei registri più bassi .
Angelo Veccia dà voce a Jago. Nella parte verdiana è a suo agio, il bel timbro è brunito di notevole spessore. Il baritono si impone per tenuta vocale e non ultima una presenza scenica ben strutturata nel quasi mefistofelico ruolo che domina per interpretazione vocale e potenza espressiva, il suo “Credo in un Dio crudel” è di incisivo impatto.
Bene Emilia con la voce intensa e cristallina di Nicolina Janevska. Cassio è timoroso nella parte interpretata da Oronzo D’Urso pur si esprime in modo efficace così come Viktor Shevchenko che sostituisce Shi Zong nella parte di Lodovico.
Andrea Galli è Roderigo, Lorenzo Liberali, Montano ed Eugenio Maria Degiacomi un araldo.
La bacchetta del Direttore e Maestro concertatore è affidata a Christopher Franklin il quale guida in enfasi partecipata tutte le sonorità orchestrali della Filarmonica Italiana sull’ impegnativa partitura verdiana con mano disinvolta e pieno governo sia sugli interpreti, che sul pregevole Coro del Teatro Comunale di Piacenza del Maestro Corrado Casati i quali si staccano dal suo sguardo giusto il tempo per esprimere la fluidità della presenza scenica prevista dai quadri.
Le composte Voci bianche del Conservatorio Nicolini di Piacenza sono dirette dal Maestro Giorgio Ubaldi. L’Otello di Giuseppe Verdi mancava dal palcoscenico rodigino da vent’anni ed il pubblico ha risposto apprezzando tra applausi calorosi questo nuovo allestimento del Teatro Municipale di Piacenza, Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena, Teatro Municipale Romolo Valli di Reggio Emilia, Teatro Coccia di Novara, Teatro Sociale di Rovigo in Coproduzione tra il Teatro Coccia di Novara e il Teatro Sociale di Rovigo.