Il Festival Verdi di Parma si conclude con l’ultima rappresentazione de “La Battaglia di Legnano“, opera raramente eseguita e concentrato assoluto di patriottismo risorgimentale. Nuovo allestimento curato nella regia da Valentina Carrasco e diretto da un giovane ed eccellente Diego Ceretta.
Per certi aspetti già “in odore” di Grand Opéra per il grande sfondo storico che la caratterizza, “La Battaglia di Legnano” è finita per anni nel calderone delle opere poco rappresentate e se vogliamo anche un po’ bistrattate rispetto ai tanti più celebri capolavori verdiani che negli anni successivi ad una trionfante prima conquisteranno con la loro grandezza lo scettro di pietre miliari della produzione del Cigno di Busseto. A farla da padrone è indubbiamente un aitante afflato patriottico e risorgimentale che permea fin dalle prime note l’opera. Non fu infatti certo casuale la scelta da parte di Verdi di trattare un evento storico medioevale dall’alto valore simbolico per le città dell’allora Lega Lombarda, celandovi (ma neanche troppo) la contemporaneità di un biennio, quello del 1848-1849, in cui dominava l’entusiasmo per gli eventi della Repubblica Romana e per i moti che già facevano assaporare un’unità che di lì a poco nonostante tutto sarebbe arrivata. L’opera è un tripudio di cori e non solo che inneggiano all’Italia, alla cacciata del nemico e a valori profondamente insiti nel sentire del tempo. Parliamo però pur sempre di quel grande uomo di teatro quale Giuseppe Verdi era ed ecco che comunque riconosciamo inconfondibile uno stile impregnato di solenne e nobile dignità nel parlare di speranza, amor di patria, onore e nell’intrecciarvi i sentimenti e le trame psicologiche dei protagonisti, seppure l’esplorazione interiore non raggiunga ancora i livelli che troveremo negli anni a venire. Verdi uomo di teatro ma anche Verdi grande musicista e qui non manca un’orchestrazione di grande interesse e pagine musicale di indubbio valore.
A rendere pienamente giustizia al valore di quest’opera vi è il giovanissimo ma già affermato direttore Diego Ceretta, alla guida di una reattiva e precisa Orchestra del Teatro Comunale di Bologna. Il Maestro con compattezza ed equilibrio riesce a sviluppare un dialogo e mantenere ancorate uniformemente le due anime complementari di un intimo, dettagliato strumentalmente e delicato lirismo individuale e la grandiosità degli assiemi e delle sanguigne passioni infuse in essi. Il tutto senza eccessi debordanti o cadute di stile, in un amalgama di efficace teatralità e qualità di suono, ricercatezza dinamica ed espressività.
La regia dello spettacolo è affidata a Valentina Carrasco. La regista lavora di sottrazione con le poche scene (di Margherita Palli) che affiorano dal buio e pone un grande accento sul mondo equestre, portatore di due valenze simboliche in qualche modo complementari e legate al tema bellico: in primis quella più classica del cavallo come imprescindibile “strumento” militare, rappresentante il valore, il coraggio e gli elementi guerreschi per eccellenza nell’iconografia e nell’epica. Ritroviamo questa rappresentazione nella grande riproduzione proiettata della “Battaglia contro i Veienti e i Fidenati” del cavalier d’Arpino nel velario e in altre scene di guerra, oltre che negli statuari cavalli che di tanto in tanto vengono portati in scena e montati come monumenti equestri nei momenti più solenni. L’altra immagine è invece quella di un corsiero ucciso in un combattimento, sdraiato a terra e con la testa insanguinata che viene brandita da Barbarossa alla sua entrata. Il cavallo è insomma l’animale a più stretto contatto con l’uomo, il più addomesticabile e generoso, al suo fianco nei momenti più alti quanto in quelli più crudi, vittima passiva e innocente di barbarie e distruzione, come lo sono i popoli stessi nelle guerre decise dai potenti. Un’iconografia dunque che attraverso l’uso di questi eleganti animali ci mostra i contrasti, le ingiustizie, le contraddizioni dei conflitti. Caratteristiche purtroppo eterne, che sopravvivono e valicano epoche, come i costumi di Silvia Aymonino sottolineano in un mix (non sempre chiarissimo) tra vestiario medioevale, risorgimentale e da prima guerra mondiale. Basti riflettere, d’altro canto, su come la memoria (e talvolta le leggende) di eventi antichi abbia costituito terreno fertile per attingere valori e ideali e creare un immaginario collettivo utile a rinvigorire e vitalizzare i popoli in successivi periodi storici attraverso parallelismi e identificazioni. E così come i paladini risorgimentali si ispirarono ai lombardi difensori della propria libertà e indipendenza, una certa eredità delle lotte ottocentesche si fece motore delle retoriche pervasive della prima guerra mondiale. Un’ultima doverosa menzione alle luci di Marco Filibeck, sempre estremamente efficaci nel ricreare atmosfere e scenari.
Il lato musicale, capitanato egregiamente come già scritto da Diego Ceretta, si fa forza di un ottimo cast vocale che vede in primo luogo la presenza di Antonio Poli nei panni di Arrigo. Il tenore non ci sorprende, perché ben lo conosciamo, ma ci delizia del suo consueto splendido timbro, un piglio energico ed aitante ma mai volgare e al tempo stesso liricamente ispirato ove necessario. La sua prova si rafforza di una dizione chiara e un fraseggio espressivo.
Marina Rebeka è una Lida che esibisce una solida personalità, determinata e innamorata, sofferente e seducente. La voce è suadente, il fraseggio e l’interpretazione estremamente musicali e raffinati, la tecnica perfetta le agevola intensità espressiva nei momenti elegiaci e scioltezza nella agilità.
Vladimir Stoyanov, come Rolando, si conferma interprete di assoluta destrezza, capace di incidere con un ottimo strumento baritonale nello scavo di un personaggio tormentato, vendicativo ma mai scomposto o debordante.
Molto positiva anche la prova di Riccardo Fassi, orgoglioso e imponente Barbarossa, nonché Alessio Verna, un Marcovaldo perentorio e maligno al punto giusto.
A completare il cast un eccellente quartetto di allievi ed ex allievi dell’Accademia verdiana. Emil Abdullaiev, nei panni del Podestà di Como e del Primo Console di Milano si distingue per timbro e carattere, così come non sfigurano Bo Yang (secondo Console), Arlene Miatto Albeldas (Imelda) che avevamo già apprezzato nel concerto di gala e infine Anzor Pilia, scudiero di Arrigo e araldo.
Pregevole il contributo, da protagonista a pieno titolo, del Coro del Teatro Comunale di Bologna, preparato da Gea Garatti Ansini.
Tanti ed entusiastici gli applausi per tutti, in una serata che chiude con soddisfazione un’edizione di successo e grande interesse del Festival Verdi 2024.