Il 23 settembre, alla presenza di Le Loro Maestà i Re di Spagna, è stata inaugurata la nuova stagione 2024/25 del Teatro Real di Madrid, altrettanto irregolare quanto la precedente, questa volta dominata dal Barocco e, per il secondo anno consecutivo, senza traccia di Rossini – uno dei compositori più maltrattati in questo teatro nell’ultima decade – o di Richard Strauss. Incomprensibilmente, questa è la prima volta che il Teatro Real mette in scena Adriana Lecouvreur (1902), unico titolo di Francesco Cilea che è riuscito a sopravvivere nel canone. Sebbene priva di momenti particolarmente memorabili, ci troviamo di fronte, dal punto di vista musicale, a un’opera splendida, caratterizzata da melodie bellissime e un’orchestrazione suggestiva, in uno stile a cavallo tra il XIX secolo e la corrente verista ormai consolidata, capeggiata da Puccini.
Durante il giro di domande della conferenza stampa precedente, una giornalista ha sottolineato la tradizionalità della ben nota messa in scena di David McVicar, presentata per la prima volta nel 2011 alla Royal Opera House di Londra e portata sui più importanti palcoscenici del mondo, come l’Opera di Vienna, il MET di New York o il Gran Teatre del Liceu di Barcellona, qui riproposta da Justin Way, direttore di produzione del Teatro Real. Immediatamente, è intervenuto visibilmente adirato Joan Matabosch, direttore artistico, convinto che questa non sia, nonostante i costumi tradizionali, la tipica “produzione tradizionale polverosa”, ma una messa in scena molto moderna. Non so dove risieda tale modernità, forse nel teatro rococò che domina tutte le scene, indipendentemente dal fatto che l’azione si svolga nel teatro stesso o negli interni del palazzo dei principi di Bouillon; in altre parole, una sorta di metateatro in un’opera che di per sé è puro metateatro. In ogni caso, la produzione di McVicar, di grande bellezza visiva e al contempo semplice, costituisce un solido supporto al servizio del stupidamente affascinante libretto di Arturo Colautti, basato su un fatto tragico presumibilmente reale, con personaggi storici realmente esistiti – l’attrice francese Adrienne Lecouvreur, il conte Maurizio di Sassonia e la duchessa di Bouillon, Maria Carolina Sobieska – ma carico di zucchero e fantasia. Un argomento verista, sì, ma non troppo.
Poco da segnalare sulla direzione musicale del cosiddetto “direttore emerito” della casa, Nicola Luisotti, che a malapena ha superato la linea della correttezza e non è stato così ispirato come in altre occasioni. Caratterizzata da tempi tra il convenzionale e il flemmatico, e favorendo gli applausi nelle arie, originariamente senza pausa in partitura, è riuscito a ottenere una buona resa dall’Orchestra Sinfonica di Madrid, orchestra stabile del teatro, creando momenti di grande bellezza, come l’entrata di Adriana. Tuttavia, si è sentita la mancanza di una maggiore incisività in episodi chiave come gli scontri tra Adriana e la principessa di Bouillon. Appropriato nelle sue brevi apparizioni, come sempre, il Coro Intermezzo, sotto la direzione di José Luis Basso.
Ermonela Jaho è una delle cantanti più amate e rispettate – come ha dimostrato il calore con cui è stata accolta durante i saluti finali – dal pubblico del Teatro Real, su di lei si sono pronunciate vere e proprie esagerazioni, come definirla “l’attrice-cantante del XXI secolo”. Credo sia chiaro che chi scrive queste righe non riesce a condividere l’entusiasmo suscitato dal soprano albanese. Gli acuti sono aperti e metallici, con tendenza allo strillo; il registro centrale, debole; i gravi, inesistenti. La mancanza di presenza vocale è una sensazione costante, e in questa Adriana è stata coperta dall’orchestra in diverse occasioni. Tuttavia, non si può negare la sua sensibilità e il buon gusto nell’affrontare la partitura, sempre spremendo al massimo il suo poverissimo materiale vocale. Inoltre, la Jaho ha offerto un’Adriana, come di consueto, ad alta tensione scenica; da qui l’enfatico appellativo di attrice-cantante, grazie alle sue notevoli qualità teatrali. Il monologo di Fedra del terzo atto – curiosamente, parte declamata, non cantata – così come il suo confronto con la principessa, sono stati elettrizzanti, in contrasto con l’emotiva interpretazione di “Poveri fiori”.
C’era grande aspettativa per il debutto scenico nel teatro madrileno della celebre mezzosoprano Elīna Garanča (nella scorsa stagione aveva interpretato il ruolo principale nella zarzuela Luisa Fernanda, di Federico Moreno Torroba, ma in versione da concerto) e, come prevedibile, la lettone non ha deluso nella sua incarnazione della perfida principessa di Bouillon. Il timbro è attraente; il suo fraseggio, impeccabile e di grande classe, e nonostante una certa freddezza, è stata magnifica nella sua grande scena “Acerba voluttà”, così come nei duetti con Adriana e Maurizio. Si dice che la rivedremo da queste parti nelle prossime stagioni. Così sia.
Da parte sua, Brian Jagde è stato un Maurizio appassionato e di volume sufficiente, ma con una linea di canto, a differenza della Garanča, poco raffinata. Di riferimento, invece, il commovente e paterno Michonnet di Nicola Alaimo, l’altro grande trionfatore della serata, confermando il successo ottenuto nell’Equivoco stravagante a Pesaro lo scorso agosto e dimostrando la sua esperienza sia nei ruoli buffi che in quelli seri.
Eccellente il duo formato dallo specialista rossiniano Maurizio Muraro e Mikeldi Atxalandabaso, rispettivamente nei ruoli del vecchio principe di Bouillon e del cospiratore abate di Chazeuil. Come ho affermato nella recensione della precedente Madama Butterfly, sembra che rimarremo con il desiderio di vedere Atxalandabaso in ruoli più importanti, trattandosi di uno degli esempi più dolorosi della discriminazione che subiscono su questo teatro alcuni cantanti spagnoli. Corrette anche le interpretazioni nei loro brevi ruoli dei membri della compagnia teatrale di Michonnet, interpretati da volti noti del Teatro Real come David Lagares, Vicenç Esteve, Sylvia Schwartz e Monica Bacelli.
Il pubblico, composto in gran parte da personaggi pubblici, politici e membri dell’alta società di Madrid, conseguenza diretta dei prezzi incredibilmente esorbitanti della rappresentazione, ancora più alti del solito (il posto più caro superava i 600 euro, e persino si sono venduti posti a visibilità ridotta per circa 300 euro), si è divertito parecchio e ha applaudito con fervore per tutta la serata, acclamando particolarmente Jaho, Garanča e McVicar.
Seguendo la consueta e scherzosa abitudine del Teatro Real di cercare anniversari persino sotto ogni sasso, le attuali rappresentazioni saranno dedicate a José Carreras, che – per inciso – non si è visto ieri a teatro, “in occasione del cinquantesimo anniversario della sua interpretazione di Adriana Lecouvreur a Madrid, presso il Teatro de la Zarzuela, accanto a Montserrat Caballé”.
El 23 de septiembre, con la presencia de SS.MM. los Reyes de España, se inauguraba la nueva temporada 2024/25 del Teatro Real de Madrid, igual de irregular que la anterior, esta vez copada por el Barroco y, por segundo año consecutivo, sin rastro de Rossini –uno de los compositores más maltratados en este teatro durante la última década– o de Richard Strauss. Incomprensiblemente, esta es la primera vez que el Teatro Real sube a escena Adriana Lecouvreur (1902), único título de Francesco Cilea que ha logrado sobrevivir en el canon. Aun sin ningún momento especialmente memorable, nos encontramos, desde el punto de vista musical, ante una espléndida ópera, caracterizada por sus bellísimas melodías y sugestiva orquestación, en un estilo a caballo entre el siglo XIX y la ya asentada corriente verista, capitaneada por Puccini.
En el turno de preguntas de la rueda de prensa previa, una periodista hacía hincapié en lo tradicional de la sobradamente conocida puesta en escena de David McVicar, estrenada en 2011 en la Royal Opera House de Londres y paseada por importantes escenarios de todo el mundo, como la Ópera de Viena, el MET de Nueva York o el Gran Teatre del Liceu de Barcelona, aquí repuesta por Justin Way, director de producción del Teatro Real. Inmediatamente, saltaba visiblemente airado Joan Matabosch, director artístico, convencido de que esta no es, pese al vestuario tradicional, la típica «producción de época casposo-decimonónico-tremebunda», sino un montaje muy moderno. No sé dónde residirá tal modernidad, tal vez en el escenario teatral rococó que preside todas las escenas, independientemente de si el espacio en que se desarrolla la acción es el propio teatro o los interiores del palacio de los príncipes de Bouillon; esto es, una especie de metateatro en una ópera que ya de por sí es puro metateatro. Sea como fuera, la producción de McVicar, de gran belleza visual a la par que sencilla, constituye un formidable soporte al servicio del estúpidamente encantador libreto de Arturo Colautti, quien se basa en un hecho trágico supuestamente real, protagonizado por personajes históricos reales –la actriz francesa Adrienne Lecouvreur, el conde Mauricio de Sajonia y la duquesa de Bouillon, María Carolina Sobieska–, pero cargado de azúcar y fantasía. Un argumento verista, sí, pero no demasiado.
Poco que destacar sobre la dirección musical del denominado «director emérito» de la casa, Nicola Luisotti, sobrepasando apenas la línea de lo correcto, y no tan inspirado como en ocasiones anteriores. Caracterizada por tempi entre lo convencional y lo flemático, y favoreciendo al aplauso en las arias, originalmente sin pausa en la partitura, supo obtener un buen rendimiento de la Orquesta Sinfónica de Madrid, orquesta titular del teatro, logrando momentos de gran belleza, como la entrada de Adriana. Sin embargo, se echó de menos una mayor contundencia en episodios clave como los enfrentamientos entre Adriana y la princesa de Bouillon. Apropiado en sus breves intervenciones, como de costumbre, el Coro Intermezzo, a las órdenes de José Luis Basso.
Ermonela Jaho es una de las cantantes más queridas y respetadas –tal como atestiguó la calidez con que fue recibida en los saludos finales– por el público del Teatro Real, sobre quien se han llegado a pronunciar auténticas desfachateces, como que se trata de «la actriz-cantante del siglo XXI». Creo que ha quedado claro que quien escribe estas líneas es incapaz de compartir el entusiasmo suscitado por la soprano albanesa. Los agudos son abiertos y metálicos, con tendencia al grito; el centro, desguarnecido; los graves, inexistentes. La falta de presencia vocal es una sensación constante, siendo tapada en esta Adriana en varias ocasiones por la orquesta. Aun así, no se puede negar su sensibilidad y buen gusto a la hora de enfrentar la partitura, siempre exprimiendo al máximo su paupérrimo material vocal. Asimismo, la Jaho ofreció una Adriana, como suele ser habitual, de alto voltaje en lo que a la escena se refiere; de ahí el rimbombante calificativo de actriz-cantante, en virtud de sus notables cualidades escénicas. El monólogo de Fedra del tercer acto –curiosamente, parte declamada, no cantada–, así como su confrontación con la princesa, fueron electrizantes, en contraste con la emotiva lectura de “Poveri fiori”.
Existía una gran expectación ante el debut escénico en el coliseo madrileño de la celebérrima mezzo Elīna Garanča (en la temporada pasada interpretó el papel protagonista de la zarzuela Luisa Fernanda, de Federico Moreno Torroba, pero en versión de concierto) y, como cabía esperar, la letona no defraudó en su encarnación de la perversa princesa de Bouillon. El timbre es atractivo; su fraseo, impecable y de gran clase, y estuvo, aun algo fría, magnífica en su gran escena de entrada “Acerba voluttà”, así como en los dúos con Adriana y Maurizio. Se rumorea que la veremos de nuevo por estos lares en próximas temporadas. Así sea.
Por su parte, Brian Jagde fue un Maurizio entregado y de volumen suficiente, pero con una línea de canto, a diferencia de la Garanča, muy poco refinada. De referencia, en cambio, el conmovedor y paternal Michonnet de Nicola Alaimo, el otro gran triunfador de la noche, revalidando el éxito del Equivoco stravagante pesarés del pasado agosto, y demostrando sus tablas tanto en papeles bufos como serios.
Inmejorable el dúo encarnado por el especialista rossiniano Maurizio Muraro y Mikeldi Atxalandabaso, como el ajado príncipe de Bouillon y el conspirador abate de Chazeuil, respectivamente. Tal como afirmé en la crítica de la Madama Butterfly precedente, parece que nos quedaremos con ganas de ver a Atxalandabaso en papeles más importantes, tratándose esta de una de las muestras más dolorosas de la discriminación que sufren en este escenario determinados cantantes patrios. Correctos en sus efímeros cometidos, igualmente, los miembros de la compañía de teatro de Michonnet, encarnados por habituales del Teatro Real como David Lagares, Vicenç Esteve, Sylvia Schwartz y Monica Bacelli.
El respetable, mayormente conformado por personajes públicos, políticos y miembros de la alta sociedad madrileña, consecuencia directa de los precios absurdamente desorbitados de la función, aún más que de costumbre (la localidad más cara superaba los ¡600 euros!, e incluso se vendieron butacas de visibilidad reducida por cerca de 300), disfrutó de lo lindo y aplaudió con fervor en todo momento, ovacionando especialmente a Jaho, Garanča y McVicar.
Siguiendo con la jocosa costumbre teatralrealera de buscar efemérides hasta debajo de las piedras, las presentes representaciones estarán dedicadas a José Carreras, a quien –por cierto– no se vio ayer en el teatro, «en ocasión del 50º aniversario de su interpretación de Adriana Lecouvreur en Madrid, en el Teatro de la Zarzuela, junto a Montserrat Caballé».