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Intervista a Massimo Cavalletti: tra le righe del pentagramma, il vero significato della Musica

Massimo Cavalletti, baritono, ritratto, un muro di piastrelle blu scuro dietro di lui.
Intervista a Massimo Cavalletti tra le righe del pentagramma, il vero significato della Musica

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In occasione della prima di Cavalleria Rusticana di Mascagni e Gianni Schicchi di Puccini, che si terrà la sera di venerdì 20 Settembre al Teatro Goldoni di Livorno, ho avuto il piacere di poter fare qualche domanda al baritono Massimo Cavalletti.

Il canto non è stata la tua prima scelta nella vita ma un percorso che ti ha portato pian piano a farne un vero e proprio lavoro. Mi piacerebbe sapere quali erano i tuoi primi progetti, prima di intraprendere questa strada.

Mah, pensavo di fare un lavoro tecnico, magari legato all’elettricità. Ho lavorato per diversi anni in un’azienda che si occupava di impianti elettrici a Lucca, dove mi sono formato anche a livello umano. Ho sempre cantato e ho sempre vissuto di musica fin da ragazzo. Ho studiato pianoforte, organo e cantato in chiesa moltissimo ma non avrei mai immaginato che la musica fosse un lavoro possibile ma soltanto un hobby. Quando si è presentata l’opportunità non ho subito preso consapevolezza, fino a quando non ho cominciato i miei studi all’Accademia della Scala di Milano nel 2004/2005. Non ho subito lasciato il lavoro che avevo come elettricista, anche se già dal 1998/1999 studiavo per diventare un cantante, poi ho vinto il concorso e sono entrato ma nonostante questo nuovo inizio ho continuato a dare consulenze per l’azienda per cui lavoravo, avendo costruito molti impianti e macchinari. E tuttora sono in ottimi rapporti con loro, soprattutto con la figlia del vecchio proprietario, sono diventati per me una famiglia, mi hanno seguito in tutto il mio percorso.

Credo che sia importante che i giovani facciano esperienze di lavoro, perché gli fa sviluppare un grosso senso di responsabilità e ti fa capire che non tutte le cose sono dovute ma vanno guadagnate!

“ Noi cantanti siamo dei privilegiati nel fare questo lavoro, forse più che i calciatori. Vivere di musica, di arte, di armonia, di bellezza. ”

Certo, vivere di questo è uno dei mestieri più belli in assoluto. In più tu hai avuto l’onore di poter studiare in due teatri molto importanti, La Scala di Milano e Opernhaus di Zurigo.

Quali differenze ci sono, secondo te, tra il teatro italiano e quello estero? 

Sicuramente all’estero come in Germania, Svizzera e Austria ci sono tanti cantanti che stanno all’interno di ensemble del teatro, che lavorano durante tutta la stagione, in quasi tutte le opere. In alcuni casi succede anche nel teatro all’italiana dove ci sono cantati “della casa” che lavorano assiduamente nelle produzioni del teatro. Credo di aver fatto una buona scelta con il teatro di Milano, lo vedevo come una grande opportunità di partenza essendo un teatro di fama internazionale e questo mi avrebbe dato l’occasione di poter lavorare con artisti di tutto il mondo. Successivamente sono entrato nel teatro di Zurigo dove trovai un Pereira giovane. 

Nel 2006/2007 il teatro mondiale era diverso da quello di oggi, montato alla vecchia maniera, dove c’erano dei grandi artisti a livello mondiale, delle glorie dalle grandissime voci a cui venivano accostati cantanti alle prime armi che dovevano imparare. A Zurigo ho cantato in più di 260 spettacoli, debuttando in 17 ruoli in soli 5 anni, in Italia ce ne avrei messi 20 per fare lo stesso percorso perché non ci sono le stesse possibilità che si possono trovare in un grande teatro dove la direzione artistica ti dà pieno appoggio e fiducia.

Hai un consiglio che hai ricevuto all’inizio della tua carriera e che tutt’ora porti sempre con te?

Essere molto umile! Specialmente mentre si studia un brano bisogna essere molto aperti mentalmente, perché non c’è un solo modo per vedere una cosa ma tanti. Io faccio sempre un esempio, se entri in una stanza buia con una sola torcia riesci ad illuminare solo la parte dove passi e mai l’insieme. Se invece entri con 50 torce riesci ad illuminarla tutta, quindi dobbiamo cercare di prendere più informazioni possibili, di accettare le critiche e i consigli che ci danno. Comprenderli, ascoltarli e rimanere aperti perché nessuno è in grado di sapere tutto.

Ho conosciuto tantissime persone e credimi Greta, tutti sono utili, nessuno è indispensabile. 

Nel nostro mondo un giorno esisti e quello dopo magari non più.

 

Proprio per questo, come riesci a mantenerti una novità per i teatri in cui ti esibisci?

Mah guarda, per esempio debutterò in Cavalleria Rusticana poi in La forza del destino, ho 46 anni e ho ancora molti debutti da fare. Come mi disse la Signora Edita Gruberova:

” … una delle armi per un artista è tenersi dei nuovi debutti durante la carriera, se invece già a 30 anni li hai già fatti tutti o quasi dopo puoi solo tornare indietro. “

Ho ancora tanti ruoli in cui debuttare, alcuni già pronti, ma aspetto di capire quando arriva il momento in cui magari ho la possibilità di lavorare ancora 3 o 4 anni. Come il ruolo di Scarpia, che ho fatto per la prima volta 3 anni fa e adesso comincio a fare spesso, è un titolo che si vende molto come i ruoli in Tosca, Traviata, L’elisir d’amore. Se uno interpreta i grandi ruoli troppo presto, a 30 anni ti hanno già sentito troppe volte. Anche in Butterfly il ruolo di Sharpless, non è un ruolo da ventenne, perché ad un giovane manca ancora la maturità artistica e interpretativa di cui uno Sharpless ha bisogno. 

Immagino quanto sia importante sentirsi nel proprio momento giusto, e parlando di vocalità, in questi ultimi anni hai notato dei cambiamenti significativi nella tua voce? Se si, come ti sei adattato a questi?

Dopo i 36/37 anni la voce del baritono raggiunge la sua massima pienezza. Poi qualcuno magari ha bisogno di qualche altro anno o magari di cambiare repertorio da rossiniano a verdiano, quindi ruoli più drammatici. Ma nel momento in cui si raggiunge una sicurezza su certe ampiezze che servono nel nostro repertorio, uno poi si può prendere la tranquillità di “sedercisi sopra” e godersi altri dieci anni con quel timbro. 

Io credo che ci sarà un altro momento importante intorno ai 55 anni, se uno riesce a superarli, dove si presenterà un’evoluzione ancora più grande. Mi piacerebbe tenermi alcuni ruoli per quell’età perché ho avuto modo di vedere, ascoltare i miei predecessori in opere come Simon Boccanegra, Nabucco e dopo i 50 anni c’è sicuramente uno Sprint in più, migliora la qualità dell’appoggio, del suono. Ad esempio un Rigoletto si può cantare anche a 40 anni perché è un personaggio pieno di lirismo, mentre un Boccanegra o Jago, hanno una recitazione che necessità di un altro livello di grandezza. Non è che se ho la voce, se ho gli acuti posso cantare qualsiasi ruolo, per alcuni bisogna andare al di là della scrittura in se. Anche Alfio, che andrà in scena questa sera per la prima volta con l’orchestra, ha una scrittura complessa ma il personaggio è basico, un uomo tradito che uccide il tenore, andando in galera quindi non ci sono sfaccettature, non c’è niente di psicologico e non può finire in altri modi se non così. In altri invece, c’è tutto un mondo dietro e credo, che per interpretarli, serva esperienza. Sempre che si voglia fare il mondo lirico per com’è nato, se invece vogliamo solo rappresentare la musica per com’è scritta allora si può fare in qualsiasi modo.

 

Parlando proprio di questo, teatro di allora, teatro di oggi…

preferisci le produzioni in chiave moderna o tradizionale? Cosa ne pensi della tendenza nel modernizzare le opere liriche?

Io preferisco quando c’è una chiave e un senso di chiarezza in quello che il regista pretende e chiede agli artisti. Se i rapporti drammaturgici che vengono esaminati in una rappresentazione hanno un senso, qualsiasi rappresentazione e ambientazione vanno bene. Ne parlavo in questi giorni con un mio collega, di una produzione di Manon Lescaut che ha fatto recentemente. In questa, il ruolo di Geronte stesso vendeva le prostitute direttamente ad un’asta, dalle cantine del suo palazzo in cui erano rinchiuse. Il problema non è questo o il fatto di omettere pezzi di trama che si dà per scontato che il pubblico conosca già, oppure come nell’ultima versione di Frankenstein, dove il personaggio è sperso in Antartide. 

” Credo che la cosa importante sia che il messaggio rimanga lo stesso. “

Non è importante il luogo, basta che il personaggio e la finalità della storia rimangano quelli originali.

E se potesse interpretare un personaggio che non appartiene al mondo lirico, ad esempio dalla letteratura, dal cinema o dalla storia, chi sceglieresti e perché?

Sceglierei il Conte di Montecristo, non ho proprio dubbi su questo personaggio. Sto leggendo una nuova versione uscita quest’anno, scritta a quattro mani con l’intelligenza artificiale che ne ha permesso una stesura più  dettagliata. Un personaggio così manca nell’opera lirica; un personaggio che ha stravolto il mondo in cui vive, che va controcorrente utilizzando il denaro non per arricchirsi ma per vendicarsi e raggiungere la piena felicità. 

Una felicità povera ma che gli permetterà di realizzarsi come uomo.

Invece, cambiando argomento, il tuo rapporto con la tecnologia e i social media.

Credi che questi mezzi possano aiutare nel portare l’opera ad un pubblico più vasto o al contrario c’è il rischio di banalizzare questa arte?

I social media ormai fanno parte del nostro mondo e io invidio un po’ la tua generazione perché so che la conoscete molto meglio di me. Io ne usufruisco e nei miei post cerco sempre di promuovere l’arte, la cultura anche se non interessa quasi a nessuno. Sicuramente prende più interesse un nudo rispetto all’analisi di un’opera e chi mette “like” lo fa perché ama quell’artista e non per i contenuti che promuove. E’ tutto una grande vendita!

E secondo te è una vendita produttiva oppure…

Dipende, non credo che nel mio caso, con 20 anni di carriera, un post possa cambiarmi la vita, però per le nuove generazioni credo sia importante avere un buon rapporto con queste realtà.

Hai un ruolo significativo che ogni volta che lo esegui è per te una “prima volta” piena di nuove scoperte?

Di recente ho cantato Marcello di Bohème, erano cinque anni che non cantavo questo ruolo. Durante la mia carriera l’ho già interpretato in più di 200 recite ma questa volta ho scoperto un nuovo personaggio. Molte di quelle frasi e momenti che ho cantato per una vita in un certo modo e adesso li ho messi in scena in un modo completamente diverso. Anche quando insegno mi capita spesso di cantare nuovamente ruoli già studiati in precedenza in modo completamente diverso rispetto a 10 anni prima. 

” Cambia la persona, cambia il mezzo, perché noi siamo questo, cambia il modo in cui recepiamo le informazioni e quindi cambia anche l’interpretazione. “

Interessante questo aspetto, di essere sempre alla continua scoperta…

Ti dico questo Greta, se i più grandi compositori hanno passato anni per scrivere e riscrivere ogni singola parte, come Giuseppe Verdi, ti sembra possibile che un artista di oggi possa studiare e sapere una parte in venti giorni? Assolutamente no, può fare una recita ma la ricerca continua ogni volta che si interpreta quel ruolo. Dopo tanti spettacoli, troverai sempre qualcosa di nuovo.

 

Un cantante non lirico che ti piace, che ascolti e con cui ti piacerebbe fare un duetto?

La lista è molto lunga ma tra quelli di adesso forse Vasco Rossi, è un’artista che ha raggiunto un’età importante e nel tempo è diventato un poeta, al di fuori della sua carriera rock, oppure Battiato. La cosa più importante è il cammino che uno intraprende, come uno lo affronta. Io credo che ci siano artisti che hanno fatto, nel corso della loro vita, un grande percorso su se stessi e si stanno scoprendo. Al giorno d’oggi c’è molto frastuono e rumori nella vita di tutti i giorni, l’autenticità sta in chi riesce a tirarsene fuori e a concentrarsi su di sé.

Invece quando insegni, quali sono gli insegnamenti e i valori che cerchi di trasmettere ad un giovane cantante?

Intanto una cosa molto importante secondo me, al di là di tutto, è la Verità. Dobbiamo dircela l’un l’altro, ci deve essere fiducia. Quando iniziai a cantare, se non c’erano le capacità oggettive per poterlo fare, per sviluppare una carriera si cercava di non insegnare. L’insegnamento non deve essere finalizzato ad incassare ma nel cercare di capire se, in chi si affida a te, ci sia un artista. Per quanto riguarda i valori invece, voglio dirti questa cosa: il cantante oggi è un prodotto che deve cercare di capire che prodotto sia e saperlo vendere. Deve sapere cosa può offrire e non deve essere soltanto un esecutore. Io cerco di insegnare come si legge uno spartito ma anche cosa c’è oltre lo spartito stesso. 

Non è semplice scrittura ma simboli da decifrare, simboli che nascondono qualcosa di molto più grande.

 

Infine, ce lo dedichi un saluto a tutti quelli che ci seguono su Opera Mundus?

A tutti i lettori e visualizzatori, mando un saluto grande e vi aspetto a teatro. Continuate a farlo perché c’è veramente tanto da imparare, tanto da divertirsi e da godere. Il teatro è una gioia immensa. Alcune volte si chiudono gli occhi, altre si aprono, è un mondo fatto da mille sfaccettature, dall’ascolto, alla vista, al sentimento come una sorta di “triband”. Quindi godetevelo e seguiteci per tante altre interviste e giornate con gli artisti. 

Ringraziamo di cuore il Teatro Goldoni di Livorno per la loro preziosa collaborazione e supporto.

Greta Leone

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