Dopo una deludente inaugurazione del festival con Bianca e Falliero, le sorti cambiarono felicemente con una esemplare interpretazione di L’equivoco stravagante. Chi avrebbe detto che quest’opera maestra costituisce la seconda incursione di Rossini nel genere buffo, nonché la sua prima opera di grande formato! La musica è semplicemente geniale e frizzante, e permette di intravedere in cosa si trasformerà poco dopo il giovane Rossini diciannovenne, fortemente influenzato da Mozart. Secondo il direttore musicale, Michele Spotti, si avvertono in L’equivoco reminiscenze de Le nozze di Figaro e Così fan tutte nel finale primo, e d’Il flauto magico nei recitativi con orchestra.
È consuetudine avvertire l’irregolarità del libretto del fiorentino Gaetano Gasbarri per L’equivoco, con un primo atto che serve solo a presentare i personaggi e con il tema principale della trama (fare credere al promesso sposo Buralicchio che Ernestina sia in realtà un castrato travestito da donna per sfuggire al servizio militare) citato solo in un lungo recitativo all’inizio del secondo atto. Lo stesso Alberto Zedda lo descrive nelle sue Divagazioni rossiniane come “farraginoso e aritmico”. Tuttavia, la penna deliziosamente grottesca di Gasbarri dà vita a uno degli argomenti più folli della storia dell’opera, costellato continuamente di immagini letterarie complesse e di natura sessuale, nascoste sotto strane citazioni mitologiche e arcaiche, e con autentiche citazioni antologiche come “Vuota se adesso sei, più vuota non sarai: col tempo troverai […] un qualche vegetabile pallon ti renderà”, “–Io sarò il fiore, l’api sarete. –Vi succhieremo come che va”, o “Femminin non è quel viso, ha un tantin d’umanità”. Al confronto, l’audacia de La corte del Faraón (per i lettori italiani, una operetta spagnola nel cosiddetto “genere sicalittico”, con esplicite connotazioni erotiche) appare da principianti, e con il vantaggio che L’equivoco stravagante fu composta cento anni prima. Come era prevedibile, l’opera fu proibita e ritirata dal cartellone del Teatro del Corso di Bologna dopo solo tre rappresentazioni. Così, Rossini, convinto che l’opera non avrebbe avuto molto futuro, decise di riutilizzare gran parte della sua musica un anno dopo nell’Inganno felice e La pietra del paragone.
L’opera è stata proposta nella sua versione precedente all’intervento della censura sul testo, completamente integra, senza i tagli abituali nei recitativi (ad esempio, si tende a sopprimere gran parte della divertentissima conversazione tra Ernestina ed Ermanno riguardo al fatto che, secondo la etichetta, l’amore coniugale debba durare più di mezza settimana). Spotti ha deciso, inoltre, di iniziare la rappresentazione con la sinfonia di La cambiale di matrimonio, considerata da Marco Beghelli e Stefano Piana nella loro edizione critica di L’equivoco come l’ouverture con maggior probabilità ascoltata nella prima del 1811, al posto della sinfonia contenuta nel manoscritto della Biblioteca Nazionale di Francia, eseguita nella produzione del ROF del 2002 e di autore incerto.
Per l’occasione è stato riproposto l’acclamato allestimento di Moshe Leiser e Patrice Caurier, debuttato nell’edizione del 2019, originariamente concepito per il Vitrifrigo Arena ed ora adattato per il palco del Teatro Rossini, di minori dimensioni. Comico e al contempo rispettoso, senza traccia di volgarità, non cedendo al gioco facile di dare libero sfogo ai doppi sensi e ai battute libidinose del libretto, è sempre dinamico e esilarante. Inoltre, il senso di ogni parola del testo è perfettamente rappresentato sulla scena. Tutti i personaggi, magistralmente delineati dai registi, appaiono con una prominente naso in stile commedia dell’arte. La stanza, l’interno della casa del nuovo ricco Gamberotto, dove si svolge tutta l’azione, è altrettanto stravagante quanto l’argomento. La soluzione ideata per la scena in cui Ernestina fugge dalla prigione è molto intelligente, inserendosi nel quadro campestre con vacche appeso alla parete della sala.
Bravissimo Michele Spotti, che ha impartito una vera lezione su come dirigere Rossini. Anche se in alcuni numeri musicali – la stretta del quartetto, l’aria di Gamberotto del primo atto, o il duetto di Ernestina e Buralicchio – è mancato un po’ di brio, i tempi sono stati generalmente agili. Sempre leggero, mai monotono, con un’articolazione precisa e pulita, molto secca nelle corde, contrasti dinamici originalissimi e sorprendenti, e contributi di propria creazione in materia di espressività, tutto calcolato meticulosamente. La sezione del sillabato del quintetto del secondo atto, successivamente riutilizzata da Rossini nella Pietra del paragone e La Cenerentola, è stata antologica. Spotti ha dimostrato di essere l’ambasciatore ideale per trasmettere al pubblico la gioia di vivere della musica del giovane Gioachino.
La Filarmonica Gioachino Rossini non è l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, e si vede, nonostante il lavoro impeccabile di Spotti, che è riuscito a estrarre l’oro da un’orchestra di secondo livello, come attestano alcuni problemi nei corni nell’ouverture e nel duettino di Gamberotto e Buralicchio, o delle corde non sempre così pulite come ci si aspetterebbe. Molto divertente e coinvolto con la scena il Coro del Teatro della Fortuna di Fano, diretto da Mirca Rosciani, sia come servitori di Gamberotto che come militari.
Senza dubbio, l’altro grande trionfatore della serata è stato, insieme a Spotti, Nicola Alaimo. Vocalmente lodevole e con una presenza scenica e un’energia comica travolgenti, la sua interpretazione lo rende senza dubbio il miglior Gamberotto degli ultimi tempi. Ha affrontato senza scomporsi i temibili acuti della sua aria del primo atto, “Parla, favella” (Rossini l’ha scritta originariamente in Re maggiore, e Alaimo l’ha interpretata in questa tonalità, quando normalmente si trasporta un tono sotto, a Do maggiore, per comodità del cantante), e ha brillato nei concertanti (che sillabato nel quintetto!). Gli applausi che ha ricevuto ai saluti finali sono stati, a ragione, assordanti.
Gli ostacoli idiomatici non hanno rappresentato alcun impedimento per la giovanissima mezzosoprano russa Maria Barakova. Molto coinvolta nella scena, ha plasmato con i suoi gesti e la sua intonazione la personalità della pedante e ridicola Ernestina, appassionata di libri ma senza alcuna formazione, vomitando quindi informazioni e citazioni che ricorda senza capo né coda. La sua voce, pur non attirando l’attenzione per un timbro particolarmente distintivo, è carina e omogenea. Notevole, inoltre, la sua coloratura nell’aria del secondo atto, “Se per te lieta ritorno”, che la cantante della prima del 1811 e successiva collaboratrice abituale di Rossini, Marietta Marcolini, aveva richiesto di trasferire letteralmente a La pietra del paragone, anche l’uniforme da soldato.
Da sottolineare anche il lavoro dei due pretendenti di Ernestina, convincenti anche sul piano scenico. Pietro Adaíni, ultimamente abituale al ROF nei ruoli di tenore nelle opere buffe, offre un corretto Ermanno, di bella voce, anche se forse con acuti un po’ troppo aperti. Esemplare il baritono catalano Carles Pachón nel ruolo del brutto e sciocco Buralicchio, sempre comico, sia nelle sue interazioni con Alaimo sia nella scena della lettera, e perfetto contrasto all’affabile Ermanno di Adaíni.
Ottimi anche la promettente soprano gaditana Patricia Calvache e il tenore Matteo Macchioni nei ruoli di Rosalia e Frontino, i domestici di Gamberotto, complici di Ermanno per conquistare la sua adorata Ernestina. Sempre impegnati nei recitativi, hanno brillato nelle loro rispettive arie di sorbetto, “Quel furbarel d’amore” e “Vedrai fra poco nascere”.
In sintesi, un ottimo risultato per una memorabile serata di opera comica, con un cast molto competente ed entusiasta e una direzione musicale perfetta, e in cui il pubblico si è divertito molto, come confermato dagli scroscianti applausi.
Tras una decepcionante inauguración del festival con Bianca e Falliero, las tornas cambiaron felizmente con una modélica interpretación de L’equivoco stravagante. ¡Quién diría que esta obra maestra se trata de la segunda incursión de Rossini en el género buffo, así como su primera ópera de gran formato! La música es simplemente genial y chispeante, y permite atisbar en lo que poco después se convertirá el joven Rossini de diecinueve años, muy influenciado por Mozart. Según el director musical, Michele Spotti, son palpables en L’equivoco las reminiscencias de Las bodas de Fígaro y Così fan tutte en el finale primo, o de La flauta mágica en los recitativos con orquesta.
Es costumbre señalar la irregularidad del libreto del florentino Gaetano Gasbarri para L’equivoco, con un primer acto que solo sirve para presentar a los personajes, y con el tema principal de su rompedora trama (hacer creer al prometido Buralicchio que Ernestina es en realidad un castrato que se ha disfrazado de mujer para escaquearse del servicio militar) únicamente ubicado en un largo recitativo al comienzo del segundo acto. El mismísimo Alberto Zedda lo describe en sus Divagaciones rossinianas como “farragoso y arrítmico”. Sea como fuere, la deliciosamente grotesca pluma de Gasbarri da lugar a uno de los argumentos más locos y gamberros de la historia de la ópera, continuamente plagado de imágenes literarias complejas y de naturaleza sexual ocultas bajo estrambóticas referencias mitológicas y arcaizantes, y dejando auténticas citas antológicas como “Si ahora te sientes vacía, ya no lo estarás: con el tiempo encontrarás […] algún vegetal que te llenará”, “–Yo soy la flor, vosotros las abejas. –Succionaremos como es debido”, o “Ese rostro no es femenino, tiene un toque de humanidad”. A su lado, dado el contexto, la osadía de La corte de Faraón (para los lectores italianos, una opereta española enmarcada dentro del denominado “género sicalíptico”, y distinguida por sus explícitas connotaciones eróticas) es de principiante, además con el plus de que L’equivoco stravagante fue compuesta cien años antes. Como era de esperar, la obra fue prohibida y retirada del cartel Teatro del Corso de Bolonia tras solamente tres representaciones. Así, Rossini, convencido de que la ópera no tendría mucho más recorrido, decide reutilizar un año después gran parte de su música en L’inganno felice y La pietra del paragone.
La obra se ofreció en su versión previa a la intervención de la censura en el texto, totalmente completa, sin los cortes habituales en los recitativos (por ejemplo, se suele suprimir gran parte de la divertidísima conversación que Ernestina y Ermanno mantienen sobre si, tal como dicta la etiqueta, el amor de un matrimonio ha de durar más de media semana). Spotti decidió, asimismo, iniciar la representación con la sinfonía de La cambiale di matrimonio, considerada por Marco Beghelli y Stefano Piana en su edición crítica de L’equivoco como la obertura que con mayor probabilidad se escuchó en el estreno de 1811, en lugar de la sinfonía contenida en el manuscrito de la Biblioteca Nacional de Francia, interpretada en la producción del ROF de 2002 y de autoría incierta.
Para la ocasión se repuso el aclamado montaje de Moshe Leiser y Patrice Caurier, estrenado en la edición de 2019, originalmente concebido para el Vitrifrigo Arena y ahora adaptado para el escenario del Teatro Rossini, de menores dimensiones. Cómica a la par que respetuosa, sin atisbo de vulgaridad, al no caer en el juego fácil de dar rienda suelta a los dobles sentidos y chascarrillos libidinosos del libreto, es siempre dinámica e hilarante. Además, el sentido de cada palabra del texto es plasmado con perfección en el escenario. Todos los personajes, magistralmente perfilados por los registas, aparecen ataviados con una prominente nariz al estilo de la commedia dell’arte. La estancia, el interior de la casa del nuevo rico Gamberotto, donde transcurre toda la acción, es igual de extravagante que el argumento. La solución ideada para la escena en que Ernestina huye de la prisión es muy inteligente, introduciéndose en el cuadro campestre con vacas que cuelga de la pared de la sala.
Bravísimo Michele Spotti, quien impartió toda una lección de cómo se ha de dirigir Rossini. Si bien en algunos números musicales –la stretta del cuarteto, el aria de Gamberotto del primer acto, o el dueto de Ernestina y Buralicchio del segundo acto– se echó en falta algo más de chispa, los tempi fueron en general ágiles. Siempre ligero, nunca cae en la monotonía, con una articulación precisa y limpia, muy seca en las cuerdas, originalísimos y sorprendentes contrastes dinámicos, y aportaciones de cosecha propia en materia de expresividad, todo ello meticulosamente calculado. La sección del sillabato del quinteto del segundo acto, posteriormente reutilizado por Rossini en La pietra del paragone y La Cenerentola, fue antológica. Spotti demostró ser el embajador idóneo para transmitir al público la alegría de vivir de la música del joven Gioachino.
La Filarmonica Gioachino Rossini no es la Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, y se nota, pese a la impecable labor de Spotti, quien consiguió extraer oro de una orquesta de segunda, tal como atestiguaron algunas inseguridades en la sección de trompas en la obertura y el duettino de Gamberotto y Buralicchio, o unas cuerdas no siempre tan limpias como cabría esperar. Muy divertido e implicado con la escena el Coro del Teatro della Fortuna di Fano, dirigido por Mirca Rosciani, tanto como criados de Gamberotto como militares.
Sin duda, el otro gran triunfador de la noche fue, junto a Spotti, Nicola Alaimo. Vocalmente encomiable y de una presencia escénica y vis cómica arrolladoras, su creación lo convierte con diferencia en el mejor Gamberotto de los últimos tiempos. Afrontó sin despeinarse los temibles agudos de su aria del primer acto, “Parla, favella” (Rossini la escribió originalmente en Re mayor, y en esta tonalidad la interpretó Alaimo, cuando normalmente se suele transportar un tono por debajo, a Do mayor, para mayor comodidad del cantante), y brilló en los números de conjunto (¡qué sillabato en el quinteto!). Los aplausos que recibió en los saludos finales fueron, con razón, atronadores.
Las trabas idiomáticas no supusieron impedimento alguno para la jovencísima mezzo rusa Maria Barakova. Muy implicada con la escena, clavó con sus gestos y entonación la personalidad de la pedante y ridícula Ernestina, adicta a los libros pero sin formación alguna, vomitando por ende la información y las citas que recuerda sin ton ni son. Su voz, aun sin llamar la atención por un timbre especialmente distintivo, es cautivadora y homogénea. Notable, a su vez, la coloratura en el aria del segundo acto, “Se per te lieta ritorno”, que la cantante del estreno de 1811 y posterior colaboradora habitual de Rossini, Marietta Marcolini, exigió trasladar tal cual a La pietra del paragone, incluida la vestimenta de soldado.
A destacar, igualmente, la labor de los dos pretendientes de Ernestina, convincentes también en la vertiente escénica. Pietro Adaíni, últimamente habitual del ROF en los papeles tenoriles de ópera buffa, ofrece un correcto Ermanno, de bella voz, aunque quizás de agudos demás de abiertos. De libro el barítono catalán Carles Pachón como el bruto y mentecato Buralicchio, siempre cómico, tanto en sus interacciones con Alaimo como en la escena de la carta, a la par que perfecto contraste al afable Ermanno de Adaíni.
Estupendos igualmente la prometedora soprano gaditana Patricia Calvache y el tenor Matteo Macchioni como Rosalia y Frontino, los criados de Gamberotto, compinchados con Ermanno para enamorar a su idolatrada Ernestina. Siempre comprometidos en los recitativos, sobresalieron en sus respectivas arias de sorbetto, “Quel furbarel d’amore” y “Vedrai fra poco nascere”.
En suma, óptimo resultado para una memorable noche de ópera cómica, con un elenco muy competente y entusiasta y una dirección musical ejemplar, y en la que el público se lo pasó en grande, tal como acabarían confirmando los calurosos aplausos.